Fermate il boia
Due giornalisti curdi condannati a morte per impiccagione dal regime iraniano. Appello dei Verdi. Nel paese già 150 esecuzioni
“I Verdi aderiscono agli appelli per salvare Adnan Hosseinpour e Hiwa Boutimar, giornalisti curdi condannati a morte dal governo di Teheran e chiedono al mondo politico italiano di mobilitarsi contro questa violazione dei diritti umani e civili”.
Con queste parole il responsabile Comunicazione del Sole che ride e membro della commissione di Viglianza Rai Marco Lion ha annunciato la mobilitazione dei Verdi per salvare i due giornalisti.
Mobilitazione lanciata dall'Iniziativa per la Libertà d'Espressione in Iran, da Information, Safety and Freedom, dall’associazione italiana di giornalisti Articolo 21 e dal Comitato per la Salvezza di Hosseinpour e Boutimar.
“I Verdi – spiega ancora Lion - si fanno promotori di una raccolta di firme (è possibile inviare appelli a info@verdi.it) anche tra i parlamentari oltre che tra l'opinione pubblica. Invitiamo i media a mobilitarsi per liberare i due giornalisti curdi”. Anche il capogruppo alla Camera dei Verdi Angelo Bonelli e la deputata Tana de Zulueta hanno aderito e promuovono la mobilitazione. Che qualche frutto comincia a darlo.
“Sono convinto che potremo salvarli dall'esecuzione”, ha infatti detto l'avvocato iraniano Saleh Nikhbakht, uno dei difensori di Hosseinpour e Butimar. “Fino ad ora - ha detto Nikhbakht - non ho nemmeno ricevuto la notifica ufficiale della sentenza. Quando l'avremo ci saranno 20 giorni per fare ricorso alla Corte suprema. Credo che questo organismo non confermerà la condanna a morte, perché le accuse non la giustificano”.
La sentenza capitale è stata emessa due settimane fa dalla Corte rivoluzionaria di Marivan, nel nord-ovest dell'Iran “per reati penali che i due hanno confessato e non per reati di opinione o di stampa”, ha precisato l’avvocato all’agenzia Ansa.
In particolare, afferma il legale, “Boutimar ha ammesso di avere fornito munizioni al Pejak”, un gruppo indipendentista curdo iraniano affiliato al turco Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Hosseinpour invece, ha aggiunto il legale, ha confessato di “avere aiutato a fuggire all'estero due iraniani di etnia araba” che erano sotto inchiesta per una serie di violenze e attentati a sfondo etnico avvenuti negli ultimi due anni in quella regione.
Hosseinpour è stato inoltre accusato di avere intrattenuto rapporti con un funzionario del Dipartimento di Stato americano, Avi Davudi, “che in precedenza dirigeva Radio Farda”, un'emittente che trasmette in Iran, finanziata dal Congresso Usa. “Ancora Hosseinpour - ha detto Nikhbakht - ha ammesso di aver fornito a gruppi dell'opposizione mappe satellitari di siti militari nell'ovest dell'Iran”.
Al di là delle accuse e delle confessioni, vere o presunte o addirittura estorte, cosa possibilissima in un regime, la mobilitazione è partita per chiedere all’Iran di porre fine alle esecuzioni capitali. Sono almeno 150 dall'inizio dell'anno le condanne a morte eseguite nel paese, tutte tramite impiccagione, tranne che per un uomo, Jafar Kiani, messo a morte all'inizio di luglio con la lapidazione dopo 11 anni passati in carcere, perché riconosciuto colpevole di adulterio. Nella Repubblica islamica la pena di morte è prevista, anche per i minorenni, per diversi reati, tra i quali omicidio, rapina a mano armata, violenza carnale, traffico di droga, apostasia e, appunto, adulterio.
"Tacere, su quanto sta accadendo in Iran, non è più lecito - si legge nell'appello di Iniziativa per la Libertà di Espressione in Iran - Bisogna fermare il boia. Salvare la vita di Hiwa e Adnan, così come tutte le altre persone che rischiano l'impiccagione in Iran, è un dovere.
Anche l'Ordine nazionale dei giornalisti ha fatto proprio l'appello per “salvare i due colleghi curdi condannati a morte”. “I due imputati – spiega la nota dell’Ordine - non appartengono a gruppi terroristici o presunti tali e hanno la sola colpa di essersi battuti per la libertà di espressione e gli altri diritti fondamentali di un intero popolo. Per questo, i giornalisti italiani - continua l'Ordine nazionale - chiedono con forza che la comunità internazionale, a partire dalle autorità del nostro paese, fermi la mano del boia. L'Ordine è pronto a dare il suo contributo e il suo aiuto ora e in futuro, dovunque sia in gioco la vita e la dignità dei colleghi”.
Redazione
31 luglio 2007