giovedì 30 giugno 2011

Nirenstein eletta presidente del Consiglio Internazionale dei Parlamentari Ebrei



I NOSTRI MIGLIORI AUGURI AL VICE PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ESTERI DELLA CAMERA ON. FIAMMA NIRENSTEIN


Oggi pomeriggio i parlamentati ebrei da tutto il mondo, riuniti a Gerusalemme, hanno eletto come loro presidente la deputata italiana Fiamma Nirenstein (Pdl), vicepresidente della Commissione Esteri della Camera. Nirenstein è stata votata da tutti presenti, appartenenti alle più svariate correnti politiche, all’unanimità. E’ stato rinnovato anche l’intero comitato direttivo con la partecipazione di rappresentanti dai cinque continenti.

L’ICJP (International Council of Jewish Parliamentarians), un’organizzazione fondata nel 1992 che riunisce i parlamentari ebrei da tutto il mondo, ha affrontato in tre giorni di congresso a Gerusalemme, interfacciandosi con i massimi esperti, i temi delle rivoluzioni arabe in Medio Oriente e del conflitto israelo-palestinese, auspicando un rapido ritorno delle due parti al tavolo delle trattative.

Roma, 29 giugno 2011

martedì 21 giugno 2011

la grande manifestazione del 18 giugno a Parigi contro il regime fondamentalista dei mullah


secondo anniversario della caduta di Neda, il video

secondo anniversario della caduta di Neda, il video

lunedì 20 giugno 2011

La dispora iraniana da Parigi È giunta l'ora del cambiamento






Il 18 giugno 2011 si è tenuto il grande raduno del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana al Parco delle Esposizioni di Villepinte, cittadina della periferia di Parigi, cui partecipano ogni anno migliaia di rifugiati iraniani per difendere i diritti umani contro la dittatura religiosa dei mullah in Iran. La data è simbolica: in quest’occasione si ricorda il massacro del 20 giugno 1981, quando il neonato regime khomeinista massacrò migliaia di oppositori che erano scesi in piazza per protestare contro l’autoritarismo del nuovo governo, costringendo i sopravvissuti a fuggire all’estero.
Straordinaria la partecipazione: oltre 120.000 Iraniani sin dalle prime ore del pomeriggio affollavano il Parco delle Esposizioni, addobbato a festa per l’importante evento. Fra i partecipanti anche numerose ‘star’ della politica internazionale, a partire da Patrick Kennedy, che dal palco letteralmente urla il suo appoggio alla Resistenza contro il ‘fascismo islamico’ della Repubblica Islamica dell’Iran, a Rudy Giuliani, ex-sindaco di New York, a Vidal-Quadras, vice-presidente del Parlamento Europeo, e molte altre decine di parlamentari, sindaci, senatori e politici da oltre quaranta stati di tutto il mondo che appoggiano la causa della resistenza e si battono per un cambio di regime in Iran.
Un’ora dopo l’inizio della manifestazione arriva il gran momento: Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) e moglie di Massoud Rajavi, leader dei Mojahedin del Popolo (MEK) che si battono contro il regime iraniano dopo essersi battuti contro la dittatura dello scià Reza Pahlavi – arriva al Parco delle Esposizioni fra gli applausi del folto pubblico iraniano. Dopo aver ricordato le oltre 100.000 vittime della resistenza dal 1981 a oggi, sale sul palco per il discorso.
Maryam parla delle manifestazioni degli ultimi mesi, elogia il coraggio dei giovani Iraniani e critica duramente i metodi repressivi del regime che in questi anni ha continuato a torturare, incarcerare e assassinare la popolazione scesa in piazza per chiedere libertà e democrazia. Il messaggio è chiaro: ‘regime change’, non esistono i ‘riformatori’ – di cui parlava la stampa occidentale dopo le manifestazioni del 2009 – all’interno del regime; come dice Masoud Rajavi ‘una vipera non può partorire una colomba’. E le lotte intestine degli ultimi anni lo dimostrano: l’ayatollah Montazeri, successore designato di Khomeini, venne purgato nel 1988 per le sue posizioni troppo ‘moderate’ – perché criticò i metodi repressivi del regime che in una sola estate uccise oltre 20.000 oppositori, molti dei quali Mohahedin; Mousav! i, sedicente leader dell’onda verde nel 2009 e primo ministro sotto Khomeini (1981-89), è agli arresti domiciliari da alcuni mesi; il ‘pilastro del regime khomeinista’ Rafsanjani è stato rimosso dalla presidenza dell’Assemblea degli esperti; senza parlare dei continui scontri fra il leader supremo Khamenei e il presidente Ahmadinejad, che mettendosi a capo dei Pasdaran (Guardie della Rivoluzione) vorrebbe aumentare il proprio potere all’interno del regime contro il parere dei mullah. La radiografia è chiara: il regime è agli sgoccioli, è ora di cambiare. Maryam denuncia le costanti violazioni dei diritti umani del regime iraniano e chiede lo smantellamento del ‘velayat e-faqih’ (il governo clericale assoluto, principio su sui si basa la Repubblica Islamica) e la fine del regime, che da oltre trent’anni finanzia i movimenti terroristici nella regione e tenta di esportare il fondamentalis! mo islamico nel mondo.
Nel suo discorso la presidente del CNRI fa cenno ai numerosi tentativi di delegittimazione subiti negli ultimi anni, non ultimo quello del 2003 quando gli uffici del CNRI in Francia vennero perquisiti dalla polizia francese e numerosi membri vennero arrestati su suggerimento del regime iraniano, che aveva fabbricato ad arte centinaia di migliaia di pagine di accuse (infondate) che andavano dalla tortura all’omicidio dei propri membri, al terrorismo, all’associazione criminale, allo sfruttamento di giovani e donne contro il loro volere, al riciclaggio di denaro sporco fino al massacro dei Curdi e degli Sciiti iracheni. La vicenda fortunatamente finì bene, e alla fine la giustizia francese assolse tutti i membri della resistenza perché ‘i fatti non sussistevano’.
Poi il pensiero vola a Campo Ashraf, in Iraq, dove tuttora vivono oltre 3.000 Mojahedin del Popolo – la principale forza del CNRI – che si battono contro il regime iraniano. Secondo il CNRI, Ashraf è tuttora il cuore pulsante della rivolta iraniana, il simbolo della libertà dall’oppressione. Dopo l’invasione americana del 2003 i cittadini di Ashraf – che vivevano in Iraq dalla metà degli anni ’80 – deposero le armi e vennero posti sotto la protezione degli Stati Uniti in base alla Convenzione di Ginevra. Ma da quando la sicurezza dell’Iraq è passata nelle mani del governo iracheno, il premier Nouri al-Maliki, appoggiato dal regime iraniano, ha tentato ripetutamente di eliminare i Mojahedin – il 28-29 giugno del 2009 e l’8 aprile del 2011. Nell’ultimo raid sono state uccise 34 persone e sono state commesse gravi violazioni dei diritti umani (come è! ; possibile vedere in questo video). Ora che le truppe americane si apprestano a lasciare il paese, la preoccupazione aumenta: è evidente che l’Iraq si sta rapidamente trasformando in un satellite della Repubblica Islamica. Ayad Allawi, capo del principale partito di opposizione, ha denunciato con forza il brutale attacco contro i MEK, aggiungendo che al-Maliki, premier iracheno sostenuto dall’Iran, non ha fatto altro che ‘imprigionare persone innocenti, alimentare la corruzione e commettere gravi violazioni dei diritti umani’ da quando è al potere. La Resistenza chiede con forza alla Nazioni Unite e agli USA di rispettare gli impegni presi e di intervenire con decisione per evitare il massacro di persone innocenti ad Ashraf.
La sig.ra Rajavi ha poi espresso solidarietà ai manifestanti della ‘primavera araba’, dalla Siria alla Libia, ha elogiato il loro coraggio invitandoli a non desistere nella lotta per la libertà. Quindi rilancia il programma politico della Resistenza: ‘Il nostro obiettivo è stabilire una repubblica democratica basata sulla separazione fra stato e chiesa e sull’uguaglianza di genere […]. Vogliano un Iran senza bomba atomica. […] Il nostro programma si può così riassumere: libertà, uguaglianza e supremazia del voto popolare’.
Al termine del discorso la folla è esplosa in un boato: ‘Viva la Resistenza, viva Ashraf, viva la libertà!’ Con questo slogan, ripetuto come un mantra, gli Iraniani della diaspora tengono accesa la fiamma della speranza, e si congedano in serata rimandando l’appuntamento all’anno prossimo, a Teheran. Ci auguriamo che sia davvero così.
Davide Meinero

sabato 4 giugno 2011

Teheran: l’attivista Haleh Sahabi picchiata a morte durante i funerali del padre

LE NOSTRE CONDOGLIANZE ALLA FAMIGLIA DELLA SIGNORA HALEH SABAHI


Nella foto Haleh Sabahi, uccisa sotto i calci e pugni delle forze di sicurezza durante i funerali del padre Ezattolah Sabahi

Articolo 21 - ESTERI

di Marco Curatolo

Nel crepuscolo impazzito di un regime, succede in Iran che le autorità di quella Repubblica che si fa chiamare Islamica profanino un sacro dovere prescritto dall’Islam: il compianto dei morti. Quando i defunti sono oppositori o dissidenti, il rischio che i funerali siano occasione di protesta e rivolta viene combattuto senza lasciare spazio al rispetto per chi non c’è più, né alla pietas per il dolore di chi sopravvive. In quei casi gli sgherri del regime vietano ai figli di piangere i padri, trafugano i cadaveri per sottrarli all’omaggio della gente, impongono sepolture segrete e notturne, disperdono con la violenza i cortei funebri, e spesso ne arrestano i partecipanti. Era successo nel 2009, per decine di giovani ammazzati dalle milizie basiji durante le manifestazioni post-elettorali; era risuccesso pochi mesi fa quando lo scomparso era l’ultranovantenne padre del leader dell’opposizione, Mir Hossein Mousavi.
Ma il 1° giugno 2011 è avvenuto qualcosa di più: Haleh Sahabi, 54 anni, nota e stimata attivista per i diritti delle donne, nonché membro delle Madri per la Pace, è morta in seguito alle percosse subite mentre partecipava alla preghiera comune per il padre, Ezatollah Sahabi, deceduto il giorno prima. Ci sono volute molte ore perché una ricostruzione attendibile dei fatti filtrasse tra le bugie diffuse dalle fonti ufficiali (si voleva inizialmente accreditare la tesi di un infarto dovuto allo stress e all’emozione); e, quando la verità è venuta alla luce, per volontà del regime Haleh era stata già sepolta in tutta fretta, di notte, fuori da Teheran. Succede, in Iran, anche questo.
I fatti. Ezatollah Sahabi, 81 anni, muore il 31 maggio. Ammalato da tempo, era uno dei padri nobili dell’opposizione iraniana. Leader della Coalizione Melli-Mazhabi (Nazionalista-Religiosa), prigioniero politico sia sotto lo Shah che sotto la Repubblica Islamica, era una figura carismatica dell’area riformista. Sua figlia Haleh era rinchiusa nel carcere di Evin dall’agosto 2009. Era stata arrestata nella piazza del Parlamento di Teheran il giorno in cui era ufficialmente cominciato il secondo mandato presidenziale di Mahmoud Ahmadinejad, dopo le contestate elezioni del 12 giugno. Condannata a due anni di prigione, le era stato ripetutamente impedito di uscire dal carcere per visitare il padre in ospedale. Il permesso era stato finalmente concesso giusto in tempo per partecipare al suo funerale.
Considerato il prestigio di cui Ezatollah Sahabi godeva, le sue esequie erano considerate ad alto rischio dal regime, che temeva una presenza eccessiva di folla e possibili proteste. Le forze dell’ordine, per tenere la situazione sotto controllo, sono entrate nella casa della famiglia Sahabi la sera prima della cerimonia e ci sono rimaste tutta la notte. Al mattino, gli agenti hanno promesso che avrebbero consentito al corteo funebre un breve percorso a piedi, prima di caricare il feretro in una macchina per impedire che troppa gente si accalcasse. La promessa non è stata mantenuta: al corteo è stato imposto di cambiare strada e impedito di accompagnare il defunto. Haleh Sahabi, tenendo alta tra le mani la foto del padre, ha protestato. Gli agenti in borghese si sono avventati su di lei tentando di strapparle l’immagine e colpendola con forza all’altezza dello stomaco. Haleh è caduta in terra e non si è più rialzata.
Le autorità hanno per tutta la giornata accreditato la tesi di una morte per infarto, dovuta alla tensione e allo spavento. Nel frattempo, il corpo di Haleh Sahabi è stato trafugato e restituito alla famiglia solo dopo che aveva accettato di firmare documenti che avallavano la ricostruzione ufficiale: Haleh sarebbe stata malata di cuore e la morte per infarto sarebbe perciò da considerasi un esito naturale di uno stato di stress. Versione contraddetta da molti testimoni, tra i quali Hamed Montazeri, nipote dello scomparso grande ayatollah dissidente. Montazeri ha detto che la Sahabi è stata colpita ripetutamente con violenza e che, sia che la causa della morte siano stati i colpi ricevuti, sia che sia stato il grande spavento, in ogni caso “si può affermare inequivocabilmente che Haleh Sahabi è stata assassinata”.
Ma che non si sia trattato di una morte per spavento lo prova la testimonianza di un medico che ha visitato la donna nell’ospedale in cui è stata ricoverata, in condizioni ormai disperate. Il suo cuore batteva ancora, i polmoni funzionavano, e il colore pallido del suo volto era incompatibile con le condizioni di un paziente infartuato. Al contrario, Haleh Sahabi mostrava lividi e segni dei colpi subiti sulla parte sinistra del torace. Secondo lo stesso medico, è probabile che la morte sia sopravvenuta a causa delle lesioni interne, in particolare della rottura della milza, in seguito alle percosse.
Altri dettagli forniti dai testimoni confermano la brutalità dell’aggressione. Una volta caduta a terra, Haleh Sahabi sarebbe stata ulteriormente colpita, anche a calci. Gli agenti in borghese pensavano che stesse recitando una commedia e le hanno intimato di rialzarsi. Quando si sono resi conto che non era possibile, con malagrazia l’hanno caricata su un’ambulanza e l’hanno portata via.
La famiglia Sahabi ha chiesto alle autorità un esame autoptico indipendente, ma non è stato concesso. Il regime ha voluto chiudere rapidamente, e con meno clamore possibile, la questione, obbligando la famiglia a dare sepoltura a Haleh presso Lavasan, un piccolo centro fuori da Teheran, con poca gente presente e nell’oscurità.
Sicché, in tarda sera, la giornata che era cominciata con la cerimonia funebre per Ezatollah Sahabi, si è conclusa con quella di sua figlia Haleh.

venerdì 3 giugno 2011

Parlamento di San Marino approva all'unanimita' la risoluzione sulla protezione di Ashraf

Giovedì 02 Giugno 2011 11:10
Repubblica di San Marino

CONSIGLIO GRANDE E GENERALE

SEDUTA DELL’11 MAGGIO 2011



OGGETTO: Ordine del Giorno presentato dal Consigliere Giuseppe Maria Morganti concordato con la Segreteria di Stato per gli Affari Esteri a condanna delle operazioni militari compiute da forze irachene nel Campo di Ashraf e affinchè le Nazioni Unite rafforzino la relativa azione di protezione e monitoraggio nel Campo di Ashraf

IL CONSIGLIO GRANDE E GENERALE
nella seduta dell’11 maggio 2011
approva all’unanimità

il seguente Ordine del Giorno:

“L’8 aprile 2011 forze speciali dell’esercito iracheno sono entrate nel campo di Ashraf, un territorio riconosciuto a livello internazionale in cui circa tremila iraniani contrari all’attuale regime che governa l’Iran hanno trovato protezione.
L’incursione ha provocato l’uccisione di 35 persone e più di 300 feriti gravi tra i civili.
Ciò è avvenuto nonostante i residenti di Ashraf godano del regime di protezione stabilito dalla IV Convenzione di Ginevra e in forza di questo devono essere loro riconosciuti i diritti umani fondamentali.
Il Governo iracheno, contravvenendo ai suoi impegni, sollecitato dalle richieste del regime iraniano, sta mantenendo un ferreo presidio all’interno del campo e minaccia un nuovo attacco militare contro una popolazione inerme.
Drammatica è anche la situazione che si è determinata nel campo in relazione all’assistenza ai feriti, infatti la popolazione non dispone di presidi sanitari per affrontare la complessità delle ferite da arma da fuoco provocate, mentre esistono enormi difficoltà per ricoverare i feriti più gravi negli ospedali militari delle forze degli Stati Uniti presenti in Iraq.
Alla luce di questa drammatica situazione e del sostegno solidale che la Commissione Consiliare Affari Esteri ha già espresso nel confronti del movimento di liberazione dell’Iran


il Consiglio Grande e Generale
si associa alle posizioni espresse dall’Alto Commissario per i Diritti Umani, Navy Pillay, e dalla Missione d’assistenza per Iraq delle Nazioni Unite (UNAMI) e, in particolare:

esprime la propria condanna nei confronti delle operazioni militari delle forze irachene nel Campo di Ashraf;
invita ad aprire un’indagine completa, indipendente e trasparente sulle ragioni dell’attacco militare nel Campo,
esorta a fornire assistenza umanitaria e a garantire l’accesso ai servizi medico-sanitari, affinchè i numerosi feriti possano trovare assistenza e siano garantite le condizioni d’igiene e sicurezza indispensabili per la vita della popolazione,
invita le Nazioni Unite a rafforzare la propria azione di protezione e monitoraggio nel Campo di Ashraf e, soprattutto, a ricercare una soluzione all’attuale situazione che, nel rispetto della sovranità dell’Iraq, garantisca il diritto internazionale umanitario e i diritti umani.”.

E’ URGENTE LA REAZIONE INTERNAZIONALE CONTRO LA REPRESSIONE DEL REGIME SIRIANO Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein

E’ URGENTE LA REAZIONE INTERNAZIONALE CONTRO LA REPRESSIONE DEL REGIME SIRIANO
Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri
“È con orrore che apprendo la notizia che Bashar al-Assad, il dittatore siriano ha lanciato un attacco militare contro la grande manifestazioni popolare che ha avuto luogo ieri ad Hama uccidendone 34 persone. E’ la stessa città in cui nel 1982 suo padre Hafez al-Assad ha compiuto una delle più grande stragi della storia delle repressioni dei regimi mediorientali.
La repressione in Siria è la più violenta fra quelle compiute in questo periodo di rivolte dai dittatori arabi contro i loro popoli. E’ indispensabile che il consesso internazionale - l’Unione Europea, gli Stati Uniti, l’Onu - agisca prontamente per fermare la strage che ha falcidiato anche centinaia di donne e bambini.
Il Segretario di Stato Americano Hillary Clinton ha detto che la legittimità di al-Assad è stata quasi cancellata. In realtà la crudeltà del rais contro i suoi stessi concittadini l’ha cancellata del tutto.”

Roma, 3giugno 2011

 
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