lunedì 20 febbraio 2012

LE NOSTRE PROFONDE CONDOGLIANZE PER LA MORTE DEI TRE SOLDATI ITALIANI IN AFGHANISTAN

Dolore per la morte dei militari italiani caduti in Afghanistan per una missione umanitaria. I miei sentimenti di grande vicinanza alle famiglie delle vittime, ed un augurio di pronta guarigione al militare ferito. Al governo italiano le nostre condoglianze.

Davood karimi

sabato 18 febbraio 2012

IL RAPPORTO TRA INTERNET E GLI AYATTOLLAH


Comunicato della conferenza stampa alla Camera dei Deputati sull’Iran


Sabato 18 Febbraio 2012 13:11
15 febbraio 2012Nella conferenza stampa del 15 febbraio, nel occasione dell’anniversario della rivoluzione popolare in Iran contro la dittatura monarchica, che ha avuto luogo nel Parlamento italiano, Sala stampa, hanno partecipato molti parlamentari appartenenti ai diversi gruppi e hanno dibattuto sul cambio del regime in  Iran come via per affrontare la crisi senza precedenti in corso nella regione. I partecipanti alla conferenza condannando lo spostamento obbligatorio dei residenti del Campo Ashraf al campo Liberty hanno sottolineato che la condizione minime per un trasferimento è garantire l’incolumità morale e materiale, rispettosa degli standard umanitari e dei diritti umani,  nella nuova residenza.
Tra i partecipati alla conferenza erano presenti: On. Carlo Ciccioli ( pdl ) presidente del comitato parlamentare Iran libero, On. Elisabetta Zamparutti ( Pd-Radicali ) Co-presidente del comitato parlamentare Iran libero, On. Ferdinando Adornato ( UDC ), On. Aurelio Misiti ( Misto ), On. Antonio Razzi ( Popolo e Territorio ), On. Lino Duilio ( Pd ), On. Massimo Vannucci ( Pd ), Sen. Gustavo Selva, On. Dario Rivolta, Sindaco Domenico Corte e Antonio Stango
Ciò che si può sintetizzare della conferenza al Parlamento italiano sulla questione iraniana è: 
• il regime teocratico al potere in Iran immerso nelle più acute crisi interne e internazionali trova l’unica via uscita l’intensificazione della repressione, l’accelerazione della produzione delle armi nucleari e l’esportazione dell’integralismo e terrorismo all’estero; tutto questo mette in serio pericolo la regione e tutto il mondo. L’applicazione della sanzione totale è  una necessità indiscussa che deve far parte di una politica ferma per affrontare il regime iraniano, ma non è sufficiente. Per impedire che il regime teocratico ottenga le armi nucleari, l’unica via è puntare sul cambio democratico per mano del popolo iraniano e della sua resistenza organizzata. La coalizione del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) e il suo gruppo maggiore, l’organizzazione dei Mojahedin del popolo iraniano (PMOI), l’opposizione principale e democratica al regime, ha una vasta base sociale ed è determinante per il cambio democratico in Iran. Un riconoscimento della CNRI è quando mai necessario onde garantire la pace e la stabilità nella calda regione mediorientale e in tutto il mondo; 
• condannando le pressioni sui residenti del Campo Ashraf e la continua violazione dei loro diritti e gli accordi sottoscritti da parte del governo iracheno, i partecipanti alla conferenza hanno affermato che la condizione minima per il trasferimento dei residenti al campo Liberty è che l’ONU, gli USA, l’UE e il governo iracheno devono garantire la loro l’incolumità morale e materiale. I residenti devono godere del diritto di portare con se i loro patrimoni mobili e i loro mezzi. La polizia irachena non deve stazionare all’interno del campo che ha una superficie di appena 0,5 kmq. I residenti devono essere liberi ad entrare e uscire dal campo. Ogni residenti deve avere un’area minima, secondo gli standard internazionali. Senza garantire questi requisiti indispensabili, rispettosi della dignità umana, il governo iracheno mostra la sua malafede e si ostina ad attuare la richiesta del regime iraniano; mutare il campo ad una prigione, in primo passo e annientarli successivamente. In questo modo lo spostamento è una mortale trappola per gli inermi residenti del Campo Ashraf;
• l’ONU, gli USA, l’UE sono responsabili di fronte allo spostamento obbligatorio dal Campo Ashraf al campo Liberty, che nelle attuali condizioni, è un carcere in cui i residenti si troverebbero nell’oblio;
• i partecipanti alla conferenza hanno chiesto all’ONU, agli USA, all’UE di impedire il trasferimento dei residenti del Campo Ashraf al campo Liberty fin quando questo non abbia requisiti corrispondenti agli standard internazionali;
• i partecipanti alla conferenza al Parlamento italiano sulla questione iraniana hanno chiesto al Governo italiano di accelerare il trasferimento dei feriti e degenti del Campo Ashraf in Italia per potersi curare, secondo quanto lo impegnava una risoluzione approvata. Nel luglio 2011 nel Parlamento italiano.

SIRIA-IRAN, CRIMINE CONTRO UMANITA'


i documenti e le foto dei terroristi iraniani arrestati in Tailandia

 I passaporti di due terroristi iraniani che stavano progettando un attacco kamikazze contro ambasciata israeliana in Tailandia. La donna, Leyla Rohani è riuscita a scappare ma l'altro terrorista Massud Sedaghatzadeh è stato arrestato

venerdì 10 febbraio 2012

martedì 7 febbraio 2012

Siria: richiamato per consultazioni ambasciatore Italia Ambasciata resta aperta e operativa


GRAZIE ITALIA!

07 FEBBRAIO, 11:58
(ANSAmed) - ROMA, 7 FEB - Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha disposto il richiamo a Roma per consultazioni dell'ambasciatore italiano a Damasco Achille Amerio. Lo rende noto la Farnesina, che sottolinea che l'Ambasciata italiana nella capitale siriana resta aperta e operativa.


L'Ambasciata italiana a Damasco - informa la Farnesina - resterà aperta e operativa per garantire l'assistenza ai connazionali presenti nel paese e continuare a seguire con la massima attenzione gli sviluppi della gravissima crisi in atto nel paese. La decisione di questa mattina fa seguito ai passi effettuati nelle ultime ore dal Governo italiano.


Ieri il segretario generale della Farnesina Giampiero Massolo aveva espresso all' ambasciatore siriano a Roma Khaddour Hasan la più ferma condanna e lo sdegno del governo italiano per le inaccettabili violenze perpetrate dal regime di Damasco nei confronti della popolazione civile.(ANSAmed).

Oltre 400 bambini sono stati uccisi in Siria dallo scoppio delle violenze, nel marzo scorso, a fine gennaio. È l’allarme lanciato a Ginevra dall’Unicef. La portavoce della ong, Marixie Mercado, ha detto che “altrettanti minori si trovano in carcere”. L’Unicef ha ammesso di non disporre di dati sulla situazione a Homs, considerata la città martire della rivolta, ma ha aggiunto di avere informazioni credibili secondo le quali anche lì i bambini sarebbero coinvolti negli scontri. "Ci sono rapporti di minori arrestati arbitrariamente, torturati e sessualmente abusati durante la detenzione”, denuncia l’Unicef. Lo stesso direttore esecutivo, Anthony Lake, parla della violenza che colpisce i bambini nel Paese: "Deve cessare. Anche un solo bimbo ucciso negli scontri è troppo. Esortiamo le autorità siriane a consentire gli aiuti a coloro che ne hanno bisogno". 

Ma i bombardamenti dell’esercito siriano non si fermano. L’obiettivo principale è la città ribelle di Homs e provincia. Secondo quanto affermano testimoni residenti e attivisti dell'opposizione, le vittime civili nella zona sarebbero state almeno 98 solo lunedì 6 febbraio. "Non c'é elettricità e tutte le comunicazioni con il quartiere di Bab Amro, il più colpito, sono state tagliate", racconta un attivista. 
Una nota del ministero dell’Interno siriano, diramata dall’agenzia ufficiale Sana, dice che "le operazioni di contrasto ai gruppi terroristici proseguiranno fino a quando la sicurezza e l'ordine non saranno ristabiliti in tutti i quartieri della città di Homs e della sua provincia e fino a quando tutte le persone armate che terrorizzano i cittadini e mettono le loro vite in pericolo non saranno sconfitte". I cadaveri si contano anche in altre zone del Paese: secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, 13 persone sono state uccise nella provincia di Idleb e altre 15 fra quelle di Damsasco e di Aleppo. 

Le violenze hanno spinto la diplomazia internazionale a muoversi. Nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno chiuso l’ambasciata. Ora altri stati, tra cui l’Italia, la Francia, la Spagna e la Tunisia, hanno richiamato in patria per consultazioni il proprio ambasciatore a Damasco. L’ambasciata italiana nella capitale siriana, spiega la Farnesina, “resterà aperta e operativa per garantire l'assistenza ai connazionali presenti nel Paese e continuare a seguire con la massima attenzione gli sviluppi della gravissima crisi in atto nel Paese”. Non ritirerà le proprie delegazioni, invece, l’Unione europea. “È importante avere persone sul terreno, considerando che in Siria non possiamo contare sulla libertà di stampa – ha detto un portavoce dell'alto rappresentante Ue Catherine Ashton –. È una questione per gli Stati membri, il servizio diplomatico europeo (Eaes) non ha alcun piano per ritirare le proprie delegazioni”. L’Ue, comunque, sta preparando contro la Siria un’altra serie di sanzioni che, secondo indiscrezioni, colpirebbe le transazioni della Banca centrale siriana e l'export di diamanti, oro e altri metalli preziosi. 

Contro il presidente Bashar Al Assad si è espresso anche il premier turco Recep Tayyip Erdogan. Si sta cacciando in un "vicolo cieco" e alla fine gli verrà chiesto "il conto" di quei crimini, ha detto. “Coopereremo con Paesi che decideranno di stare dalla parte del popolo siriano e non dell'amministrazione siriana. Continueremo a sostenere le iniziative della Lega araba”, ha aggiunto. 

Intanto Damasco, martedì 7 febbraio, ha ospitato un raduno pro-regime. Decine di migliaia di sostenitori di Bashar al Assad sono scesi in piazza (“Non tutti di propria volontà”, dicono gli attivisti d’opposizione) in occasione dell'arrivo del ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov. La televisione di Stato siriana ha definito la manifestazione come "una marcia di sostegno all'indipendenza nazionale e di rifiuto dell'intervento straniero". Tra la folla, oltre alle fotografie del presidente siriano, sono spuntate anche bandiere della Russia e della Cina, che con il loro veto hanno bloccato una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, sostenuta da Paesi arabi e occidentali, che chiedeva ad Assad di accettare un piano per la transizione dei poteri. “Russia e Siria sono amiche da lungo tempo, ma la Siria non ha mai voluto essere un fardello per i suoi amici", ha detto il presidente Assad. E il ministro russo lo ha esortato: "In risposta alle aspirazioni legittime dei popoli ad una vita migliore, devono essere effettuate le riforme necessarie". Le agenzie russe hanno riferito che il ministro degli Esteri ha definito l’incontro con Assad “molto utile”. Il presidente siriano avrebbe informato il suo ospite di aver avviato l’iter per il referendum sulla nuova Costituzione e di voler porre fine alla violenza. Damasco, ha detto sempre il ministro russo, è interessata alla prosecuzione della missione della Lega araba e all'aumento del numero degli osservatori.

Il mio nuovo libro: "A Gerusalemme"


Fiamma Nirenstein BlogFiamma Nirenstein Blog
 


 
Cari amici,


è uscito il mio nuovo libro “A Gerusalemme” edito da Rizzoli. Sono 214 pagine di vita vissuta, di storia della città, di luoghi che amo particolarmente. Insomma in poche parole una lettera d’amore a una città che è nel cuore e nella mente di tutti noi per il suo passato e per il suo futuro.


Vi invito quindi alla presentazione del libro lunedì 13 febbraio alle 18,00 presso la Libreria Arion Esposizioni (Via Milano n. 15/17, Roma) con Franco Frattini, Elisabetta Rasy e WalterVeltroni.

Vi accludo qualche recensione uscita in questi giorni.
Arrivederci, Fiamma


"Per le strade di Gerusalemme, la città che dà coraggio"
Libero, 4 febbraio 2012 di Paolo Bianchi
È un libro al contempo bello e terribile questo A Gerusalemme (Rizzoli, pp. 214, euro 18), soprattutto perché è scritto da una giornalista come Fiamma Nirenstein, figlia di uno dei primi «ebrei pionieri», giunto nel nascente Stato di Israele dalla Polonia nel 1936, e da molti anni commentatrice delle vicende del Vicino Oriente per i quotidiani La StampaeIl Giornale. Il volume che ha confezionato con minuziosa cura storica, cronachistica e autobiografica è un addentrarsi tra le pieghe oscure della città santa per eccellenza, capitale dei tre monoteismi, ebraismo, cristianesimo e islamismo e cuore pulsante di una ventina di loro derivazioni. Se il primo approccio turistico è sempre quello con la Città Vecchia, e specialmente con la porta di Giaffa, la più frequentata delle sette (ne esistono anche altre quattro, ma chiuse o murate), se le prime occhiate possono quasi far pensare a un variegato parco a tema, anzi a «un luna park turistico e commerciale», il rischio è quello di «imbrancarsi mentalmente con le truppe appena scese dai pullman». La realtà è ben più complessa, drammatica diciamo pure. Quei cumuli di pietre gialle e rosate celano confini invalicabili, circondano territori rivendicati a partire da tremila anni fa. Il Quartiere Musulmano arriva fino alla Spianata del Tempio, a fianco del Quartiere Ebraico. Accanto alla Tomba di Davide c’è anche la sala dell’ultima cena di Gesù e, a fianco, una moschea. Perché «tutto è vero, guai a metterlo in discussione, e tutto è falso, basta chiedere agli archeologi. Molto a Gerusalemme è fatto così. Ma sul vero e sul falso resta sempre aperta la finestra della fantasia e di una fede che mostra i denti». Conoscere la storia di Gerusalemme significa addentrarsi in un gomitolo aggrovigliato di verità e di supposizioni. Ma la mescolanza e la sovrapposizione, per quanto suggestive, hanno anche significati non del tutto rassicuranti. Nel luglio 2000, alla presenza di Bill Clinton, Arafat sostenne placidamente che a Gerusalemme non era mai esistitoun Tempiodi Salomone, cioè un Tempio degli Ebrei. Un esempio di negazionismo raccapricciante. E nel marzo dello stesso anno, quando Giovanni Paolo II aveva appena cominciato a parlare alla folla, il richiamo del muezzin si levò fortissimo a coprire la sua voce. C’è la Gerusalemme delle divisioni eterne e dell’eterna violenza. «Affacciarsi sul futuro è molto difficile», spiega Nirenstein, «ormai la questione di Gerusalemme è una delle più irrisolvibili del mondo, e lo dimostrano molti episodi degli anni recenti: ogni processo di pace discute la questione di Gerusalemme solo per trovarla impossibile». Eppure, che gli ebrei non demordano è specificato in una frase che non lascia spazio a dubbi. Proclama l’autrice: «Che errore hanno fatto con me i terroristi islamici: se volevano convincermi ad andarmene, hanno invece reso più bello il volto di questa città, mi hanno affondato nei secoli indietro, mi hanno fatto conoscere re Davide».

“Davar acher – A Gerusalemme con Fiamma Nirenstein”
Moked, 5 febbraio 2012 di Ugo Volli
Ho letto tutto d'un fiato il nuovo libro di Fiamma Nirenstein, "A Gerusalemme" (Rizzoli, pp.215, €18). E' un testo assai più emozionante e più coinvolgente della maggior parte delle cose che si scrivono sulla storia, l'archeologia e la politica di Gerusalemme, perché contiene sì frammenti di tutti questi argomenti, ma è anche è soprattutto una love story, la storia dell'amore di una donna fiorentina per una città mediorientale carica di storia e di conflitti. Quest'amore non è geloso, non esclude nessuno, racconta di vicini arabi ambigui, di capi palestinesi che odiano Israele, di intellettuali scettici e politici affettuosi. Parla di luoghi, di case, di wadi, di negozi, di spese, di motorini, di caffè, della difficoltà di un figlio e di una grande festa di matrimonio. Racconta con angoscia e partecipazione gli anni delle stragi, in cui non c'era giorno senza che i terroristi facessero saltare in aria un autobus o un luogo di ritrovo. Spiega il terrore del ritardo di un figlio, la doppia faccia di commessi simpatici che si rivelano sostenitori del terrore. Esplora i sotterranei del Monte del Tempio, descrive le vecchie case palestinesi, parla della ginnastica e del caffé al tempo delle stragi e delle colazioni dei giornalisti inviati a Gerusalemme. Racconta abbondantemente e con amore della sua famiglia, ricorda il terribile sconcerto del padre di fronte alla Shoà, le partite di pallone del figlio, la forza del marito. E' insomma un diario intimo e pubblico, costruito per frammenti, per associazioni, per emozioni. Un bel libro.
Ma soprattutto è un documento del rapporto profondo, vero, non più libresco dopo millenni, che lo stato di Israele ha permesso agli ebrei di istituire con Gerusalemme e Eretz Israel, quello che ci porta appena possiamo prendere un aereo e ad inventarsi cose da fare nel piccolo stato ebraico: parenti, amici, lavoro, ricorrenze religiose, vacanze, non importa. L'importante è andarci, o stare lì, come Nirenstein, trasferirvisi come hanno fatto tanti ebrei italiani. Il rapporto che Fiamma Nirenstein disegna nel libro e pratica nella vita, e tanti altri come lei, è un legame d'amore, fisico, concreto, perfino sensuale con Eretz Israel. Una curiosità, una necessità, una consuetudine, un attaccamento a tratti disperato, ma sempre pieno di speranza.
Questo non capiscono, o capiscono fin troppo bene, quelli che la detestano e la criticano, quelli anche di origini ebraiche che applaudono alle vignette che la ritraggono secondo i canoni dell'ideologia nazista col pretesto dell'infame lotta politica italiana, tutta segnata da partigianerie e piccinerie, da viltà e finti moralismi. Fiamma Nirenstein non è solo una grande giornalista, non è solo un esempio di successo dell'impegno civile dell'ebraismo italiano, ma anche la figura del rapporto autentico, emotivo, intimo, passionale con Israele, della condivisione del suo destino storico. Il suo libro parla di questo, ancor più che della città di Gerusalemme. Farsene penetrare, condividere questa passione, pagina dopo pagina, è un piacere e un atto di partecipazione intellettuale e politico cui è bello abbandonarsi.
“Ritorno al Muro del Pianto dove iniziò Gerusalemme”
Corriere della Sera, 5 febbraio 2012 di Pierluigi Battista

Gerusalemme è un luogo dello spirito, ma è anche una città viva e turbolenta. Una foresta di simboli, e anche un intrico di strade, palazzi, ristoranti, mercati sovraffollati. Città sovraccarica di memorie antiche, illuminata dalla fede (anzi, dalle fedi), ma anche groviglio modernissimo di urbanistiche audaci e arcaiche insieme. È la Gerusalemme cantata e celebrata da Fiamma Nirenstein in un libro che è un omaggio d'amore, un manifesto politico, una descrizione particolareggiatissima di volti, contraddizioni, parole, usanze e linguaggi di una città unica. Di una città speciale, trattata dalla Nirenstein con una sensibilità anch'essa speciale, mai neutrale e asettica: la sensibilità di una donna ebrea, italiana, con un passato politico di sinistra oggi rivisitato e arricchito con nuovi punti di vista.
Un punto di vista esplicitamente dichiarato. Nelle pagine del libro si respira l'emozione per la scoperta di storie e personaggi che sono emanazione di un genius loci unico e irripetibile, la pietà e l'orrore per le vite stroncate da un terrorismo che si prefigge di uccidere o mutilare (leggere la descrizione dei micidiali ordigni esplosivi portati dai terroristi suicidi per accertarsene) quante più persone possibile, quanti più civili possibile, quanti più ebrei possibile. Si respira anche il rispetto per le religioni che a Gerusalemme trovano i loro santuari, la convinzione che solo la convivenza tra fedi diverse può salvare una città in cui i luoghi sacri dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islamismo si trovano in un rapporto esplosivo di vicinanza e di prossimità. Non è una convinzione puramente retorica. E il racconto della Nirenstein, che non si compiace di una memoria indulgente e superficialmente ecumenica, non fa a meno di ricordare che dalla nascita dello Stato di Israele fino al 1967 il Muro del Pianto, sotto il controllo giordano, era un luogo precluso agli ebrei, con i simboli dell'ebraismo degradati a discarica, irraggiungibili per chi voleva accostarsi ai simboli della religione dei padri, pregare, commuoversi, ritrovare se stessi. Come in qualunque religione.
La Nirenstein spiega anche molto dettagliatamente, e con un atteggiamento giustamente scandalizzato per la mole di menzogne che circolano negli ambienti più vulnerabili di un antisemitismo torvo e aggressivo, come si sia diffuso in questi anni una forma perniciosa di «negazionismo» sulla natura di Gerusalemme. Galvanizzata da dichiarazioni di Arafat, declamate con un'inclinazione ossessiva per la propaganda e la manipolazione storica, la campagna anti-israeliana ha infatti martellato duramente sull'immagine di una totale estraneità di Gerusalemme dall'ebraismo. Per rafforzare l'immagine degli ebrei usurpatori e colonialisti, perfidamente intenti a prendersi terre che non sono mai state loro, la propaganda anti-Israele ha lanciato un'offensiva para-archeologica per dimostrare che gli ebrei non hanno mai messo piede a Gerusalemme, mai hanno costruito il Tempio e ricostruito quello distrutto. La campagna negazionista viene ricostruita, dettaglio dopo dettaglio, da questo libro di Fiamma Nirenstein. Il suo amore per Gerusalemme ne risulta rafforzato, come reazione sacrosanta a una bugia colossale che pure si addobba di argomenti pseudo-scientifici.
Per questo, parlare di Gerusalemme non è più possibile come se si volessero indicare ai turisti i luoghi più significativi della città, tracciare la mappa dei palazzi più rilevanti, dei quartieri più eccentrici e «pittoreschi». Non è questo l'intento di questo libro, dove pure sono presenti scorci di vita curiosi, pluralità di comportamenti, di modi di vestire, di mangiare, di parlare che indicano un'incomprimibile diversificazione non riducibile a uniformità o unidimensionalità politica o religiosa. L'intenzione è quella di stabilire una linea di continuità tra la vita pulsante della contemporaneità di Gerusalemme e l'intensità di una memoria in cui si depositano secoli e millenni di storia.
Una storia da cui, ovviamente, l'ebraismo non può essere escluso per decreto di una fazione politica, che tra l'altro non si è mai segnalata per la protezione dei liberi studi storici svincolati dalle urgenze della propaganda. Una storia ricca e densa, piena di tensioni, di una città più volte ferita e martoriata da un antagonismo che non riesce a decantarsi se non in una pace stabile, per lo meno in una tregua benefica e risanatrice. Gerusalemme santa, ma anche colpita da una maledizione che sembra non liberarla mai da conflitti feroci e irriducibili.
Un motivo di più per amare e onorare una città speciale, qualcosa di molto più importante di una normale meta turistica.

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domenica 5 febbraio 2012

Iran-Israele: la guerra che non verrà. Forse



ImagesCAA9C1ONSembra sia incominciato il conto alla rovescia della Grande Guerra del Golfo: da un momento all’altro, fra marzo e aprile, al più tardi entro la fine dell’anno. Se le cose stanno così forse abbiamo qualche speranza che non ci sia alcuna guerra. Quando mai si annuncia in questo modo plateale un attacco così complicato e pericoloso ai siti nucleari iraniani?
  Il pericolo è sotto traccia da quando gli iraniani hanno deciso di avviare il loro processo nucleare, lasciando tracce evidenti della loro ambizione di non creare tanto energia pacifica quanto la bomba. Da un paio di mesi, tuttavia, in un crescendo rossiniano si parla sempre più dell’imminenza di un attacco israeliano con dettagli, dichiarazioni, primizie dei servizi segreti. Prima un’intervista alla CNN del ministro della Difesa Ehud Barak - Mister Security d’Israele - seguita da altre alle tv israeliane come per preparare anche il fronte interno alla guerra. Poi una pagina intera sul New York Times e un'altra ancora su Ha’aretz. L’insieme delle notizie, delle ipotesi e delle previsioni viene ripreso anche dal Corriere della Sera in un’altra paginona.
  “E’ una questione di mesi, non di due o tre anni”, sostiene Barak. In realtà occorre ancora tempo perché Tehran arricchisca l’uranio al 90%, necessario per fare l’ordigno. A quel punto l’ayatollah Khamenei dovrà prendere la decisione politica di assemblare la bomba. Infine bisognerà ridurla alle dimensioni necessarie perché un missile la porti sull’obiettivo desiderato. La tesi di Barak è: ci vuole tempo ma entro pochissimo tempo gli iraniani raggiungeranno la “zona d’immunità”. Cioè il punto di non ritorno superato il quale nemmeno un bombardamento dei siti permetterebbe di fermare il processo.
 In Israele ci sono solo due veri sostenitori di un attacco all’Iran, almeno a parole: il premier Bibi Netanyahu e Barak. I due uomini più potenti del Paese. La comunità dei servizi segreti – Mossad e apparati militari – è sempre stata contraria: troppo pericoloso agire militarmente contro un pericolo ancora ipotetico. Meir Dagan, il capo del servizio segreto esterno, il Mossad, sosteneva che un’eventuale bomba iraniana sarebbe un problema ma non una “minaccia esistenziale” per Israele. E’ solo di fronte a quello che viene percepito come un pericolo assoluto, che si mette in moto la macchina militare israeliana.
Ma come ha scritto su Yediot Ahronot Nahum Barnea, il più famoso giornalista d’Israele, negli apparati della sicurezza è appena avvenuto il regolare turnover: tutti gli oppositori più autorevoli al bombardamento dell’Iran sono andati in pensione. A questa coincidenza favorevole per chi vuole l’azione, se ne aggiunge un’altra: gli americani se ne sono andati dall’Iraq e dunque non ne controllano più lo spazio aereo che i caccia-bombardieri israeliani dovrebbero attraversare per raggiungere le centrali iraniane. Gli americani, contrari all’azione, avrebbero fermato l’attacco. Gli iracheno non hanno i mezzi per farlo.
  Quando gli avevano chiesto se temeva che l’alleato israeliano avrebbe potuto bombardare l’Iran senza prima avvisare gli americani, il segretario alla Difesa Leon Panetta  aveva risposto di si. Lo temeva. Probabilmente gli americani verrebbero informati solo con gli aerei già in volo.
  Ma il punto è un altro. Pur con tutti questi indizi. Anzi: proprio a causa di tutti questi indizi che sembrano annunci alla stampa, è pensabile che gli israeliani stiano per colpire? Storicamente non è nel loro stile. Non è forse una campagna con un altro obiettivo? Per esempio, insieme all’inasprimento delle sanzioni economiche, quello di mostrare agli iraniani che tutte le opzioni sono pronte per fermare la militarizzazione del loro nucleare. Io credo sia così. Anche se non ci scommetterei sopra un mese di stipendio.

Mo: Netanyahu, basta chiacchiere su Iran


ANSA.it > Mondo > News


Premier israeliano, svilupperemo nostra potenza per sopravvivere

05 febbraio, 13:01
Mo: Netanyahu, basta chiacchiere su Iran(ANSA) - GERUSALEMME, 05 FEB - ''Il folle chiacchiericcio sull'Iran deve cessare''. Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu, mentre sulla stampa internazionale si moltiplicano le anticipazioni su un possibile intervento militare israeliano in contro infrastrutture nucleari iraniane.''In questa zona l'unico fondamento che garantisce la sopravvivenza e' la potenza.Saremo dunque impegnati a continuare a sviluppare la nostra potenza militare,economica e sociale,unica garanzia per la nostra sopravvivenza e per la pace''.

sabato 4 febbraio 2012

L'ULTIMO SAMURAI

“Israele attaccherà l'Iran in primavera”


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4/2/2012 - IL WASHINGTON POST SVELA IL GIUDIZIO DEL CAPO DEL PENTAGONO PANETTA. LUI: NO COMMENT

Khamenei risponde: se saremo aggrediti, sarà peggio per gli Usa
Il capo del Pentagono Leon Panetta prevede che Israele attaccherà l’Iran fra aprile, maggio e giugno, innescando da Teheran la replica di Ali Khamenei: «Se verremo aggrediti vi saranno conseguenze negative per gli Stati Uniti».

A rivelare il pensiero di Panetta è David Ignatius. L’editorialista del Washington Post è a Bruxelles a seguito del ministro della Difesa Usa e in un suo articolo scrive: «Panetta ritiene che sia molto probabile un attacco di Israele contro l’Iran in aprile, maggio o giugno, prima che l’Iran entri in quella che gli israeliani definiscono una "zona di immunità" dove poter cominciare a costruire la bomba nucleare». Tale «zona di immunità», spiega Ignatius citando Panetta, è legata al fatto che per Israele «gli iraniani avranno presto immagazzinato sufficiente uranio arricchito a grande profondità sotterranea per poter costruire la bomba ed a quel punto solo gli Stati Uniti potranno fermarli militarmente».

Israele teme dunque di perdere la propria deterrenza militare nei confronti dell’Iran e poiché la sua strategia di sicurezza nazionale si basa, dalla fondazione nel 1948, sull’autosufficienza, l’attacco sta per avvenire. Bersagliato di domande dai reporter sull’articolo del Washington Post, Panetta ha evitato di smentirlo limitandosi a dire «non faccio commenti». Aggiungendo però che «Ignatius può scrivere ciò che vuole ma quello che penso e credo rientra in un’area che appartiene solo a me stesso». Non si può escludere che le frasi di Panetta riportate da Ignatius siano frutto della recente visita a Washington di Tamir Pardo, il capo del Mossad. A svelare i colloqui segreti avuti da Pardo è stata Dianne Feinstein, presidente della commissione Intelligence del Senato, affermando durante un’audizione sull’Iran di averlo incontrato così come ha fatto David Petraeus, capo della Cia.

Nel corso di questa audizione, avvenuta mercoledì, il direttore nazionale dell’intelligence James Clapper ha avvalorato l’avvicinamento dell’Iran all’atomica: «I progressi tecnici, soprattutto nell’arricchimento dell’uranio rafforzano la nostra valutazione che l’Iran ha le capacità scientifiche, tecniche e industriali per produrre armi nucleari, dunque la questione centrale è la sua volontà politica di farlo». Proprio tali progressi tecnici sono stati al centro della visita in Israele di Martin Dempsey, capo degli stati maggiori congiunti, per colloqui con Ehud Barak, ministro della Difesa, sugli scenari militari relativi ad un eventuale attacco contro il programma nucleare iraniano. La maggiore preoccupazione di Washington riguarda la possibilità che Teheran reagisca lanciando attacchi, terroristici e missilistici, contro le truppe Usa dispiegate nel Golfo Persico oppure chiudendo la navigazione attraverso gli Stretti di Hormuz.

Ad avvalorare tali timori ci ha pensato ieri Alì Khamenei, il Leader Supremo della Repubblica islamica dell’Iran, affermando: «Attaccare l’Iran nuocerà all’America, in risposta alle minacce di embargo petrolifero e guerra noi abbiamo le nostre minacce per imporci al momento giusto». La terminologia, adoperata nel contesto del discorso del venerdì ai fedeli sciiti, mira a ribadire che l’Iran si sente in grado di lanciare una risposta militare se verrà attaccato. «Non ho paura di affermare che sosterremo e aiuteremo ogni nazione o gruppo che si vuole battere contro il nemico sionista», ha aggiunto Khamenei con un riferimento agli Hezbollah libanesi, il cui leader Hassan Nasrallah ha più volte affermato di disporre di un arsenale missilistico capace di colpire tutte le città israeliane, inclusa la metropoli di Tel Aviv.

Sui venti di guerra che spazzano il Medio Oriente è tornato a parlare Panetta in serata dalla base di Ramstein in Germania: «In questo momento la cosa più importante è mantenere l’unità della comunità internazionale per convincere l’Iran a non realizzare l’atomica, ma se loro faranno altrimenti noi abbiamo tutte le opzioni sul tavolo e saremo pronti a rispondere se dovremo farlo».

 
AID : AGENZIA IRAN DEMOCRATICO