martedì 30 agosto 2011

I perché della lista nera americana?


IL 26 agosto migliaia di iraniani hanno gridato di fronte alla sede del Forein Office" fuori i Mojahedin dalla lista nera"
La lista nera è uno ostacolo al cambiamento democratico in Iran.
La lista nera americana è la principale fonte di nutrizione della macchina della repressione in Iran

Durante la presidenza di Clinton alcuni lobby filo iraniani hanno convinto l’inquilino della camera ovale di lanciare un segnale di buonsenso ai mullah per aprire una nuova era nei rapporti iranoamericani interroti bruscamente con l’arrivo dell’ayatolterrore Ruhollah Khomeini, padre fondatore del fondamentalismo islamico. I mediatori della “pacificazione” hanno indicato l’organizzazione dei Mojahedin del Popolo, la più grande minaccia all’intero sistema della repubblica islamica khomeinista, come elemento fondamentale per sacrificare all’altare di questo connubio: la proposta fu accettata e il regime dei mullah fu accontentato. L’obiettivo di tale cambio di rotta americana fu quello di convincere gli iraniani di rimettersi sul binario giusto e di ritrovare un loro posto meritevole nella comunità internazionale nonché di abbandonare la loro politica di sostegno al terrorismo internazionale di cui avevano un curiculum da guiness! Detto e fatto? Fatto si ma a metà. La parte iraniana ha ingoiato il boccone e ha preteso dell’altro. In questo orribile scenario di scambio e di sacrificio dei valori umani, gli americani hanno calpestato i più elementari diritti dell’uomo, trascinando ingiustamente i rappresentanti legittimi di un popolo in una vergognosa lista nera, innalzando un altissimo muro di fronte ad un processo di cambiamento democratico che avrebbe potuto salvare anni fa l’intero mondo da una grave minaccia fondamentalista che tuttora grava fortemente sulla sua testa . Tutto ciò nel nome di una politica che io chiamo”accondiscendenza”. Tale iniziativa a senso unico fino ad oggi ha causato al popolo iraniano un enorme costo in vite umane: ha dato la luce verde e la carta bianca al regime fondamentalista dei mullah per sterminare ed eliminare qualsiasi voce di opposizione e di dissenso. Un esempio: durante la rivolta post-elettorale del 2009, i giovani arrestati venivano etichettati di essere simpatizzanti del Mojahedin ed eliminati perché la “ loro organizzazione è nella lista nera americana”. Anche oggi, il regime filo iraniano dell’Iraq sferra durissimi attacchi al campo di Ashraf, dove risiedono 3400 membri della resistenza, di cui mille sono donne, con il pretesto che “ i Mojahedin sono nella lista nera americana”. L'ultimo è avvenuto 8 aprile scorso in cui 35 donne e uomini hanno perso la vita e altri 500 sono rimasti gravemente feriti. Nasce spontaneamente una legittima domanda: a chi giova questa lista nera? Al regime dei mullah o alla sicurezza nazionale americana? I Mojahedin sono i nemici dei mullah o nemici degli Stati Uniti d’America? La risposta è semplice i Mojahedin sono solamente e solamente nemici dei mullah e non hanno nulla a che vedere contro la sicurezza nazionale americana. Allora possiamo dedurre che questa lista porta l’acqua nel mulino dei mullah ai danni di un popolo che da più di trentanni lotta per la libertà e democrazia. Di recente la resistenza iraniana ha intrapresa una grande iniziativa popolare per chiedere agli americani di mettere una pietra tombale su questa politica di accondiscendenza che fino ad oggi ha procurato migliaia di morti e allo stesso tempo ha trascinato nell’al di là anche numerosi soldati della coalizione in Iraq e in in Afghanistan. L’Italia ne sa qualcosa: basta guardare la lista dei suoi caduti in Nassiriah e in Afghanistan.
Il 26 agosto scorso, a Washington, migliaia di iraniani provenienti da tutti gli States hanno manifestato di fronte alla sede del Forein Office di Hillary Clinton chiedendo la “ rimozione del nome dei Mojahedin dal Black List”. Allo stesso tempo 100 congressman di entrambi gli schieramenti e numerose personalità plitiche e militari e uomini di primo piano della sicurezza nazionale americana hanno indirizzato un urgente appello al Segretario di Stato chiedendo la stessa cosa. In Europa migliaia di parlamentari hanno fatto idem richiesta. Ma L’America ancora resiste. Perché? La risposta deve venire dal diretto interessato. Ma io ho un’idea. La paura. Paura di perdere ancora altri soldati. Paura del terrorismo dei mullah che fino ad oggi ha dimostrato una straordinaria violenza inaudita in tutto il globo. Ma la Paura può essere la cura al male che ha colpito l’umanità? La storia recente ci ha dimostrato che la politica di accondiscenza e la paura sono la morte degli stessi valori umani per cui milioni di americani ed europei hanno perso la loro vita per costruire un’America e un’Europa libera e democratica. Gli ebrei ne sanno qualcosa. Sei milioni di uomini,donne e bambini sono caduti per mano del padre legittimo del fondamentalsimo islamico iraniano: Hitler.
Il popolo iraniano attraverso il suo legittimo rappresentante, la signora Maryam Rajavi, presidente eletta dalla resistenza iraniana, chiede all'America di porre fine a questa vergognosa finestra che porterà inevitabilmente, prima o poi, ad una catastrofica guerra tra il regime terrorista dei mullah e il mondo intero. Il ciclone della primavera araba è iniziata nel 2009 a Teheran ed è arrivata in Tunisia, Egitto, Yemen, Libia e siria, avambraccio del regime iraniano, e tornerà a Tehera una volta che ha fatto piazza pulita da tutti i dittatori che hanno regnato in medioriente per decine di anni calpestando violentemente i più elementari diritti dei loro popoli. La storia siriana ci dimostra che senza un movimento organizzato, i popoli in rivolta pagheranno un altissimo tributo di sangue. Allora credo che la signora Hillary Clinton debba riflettere sul suo ruolo storico in questo scenario storico e decida con il suo cuore da donna e di agire con la sua sensibilità da donna e non dall’Uomo di stato!
In Iran milioni di donne e di uomini colpiti dal Black list americano aspettano il crollo delle mura di una politica errata americana e di un carcere, grande quanto il paese, in cui giorno e notte i migliori figli vengono trucidati nella macchina della repressione clericale con cui il sangue, pelle ed ossa si fortificano e si nutrono le cellule di un mostro disumano chiamato “ la repubblica islamica”.
Davood Karimi, presidente dell’Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia

sabato 27 agosto 2011

Grande manifestazione dell'opposizione iraniana a Washington

Ieri, 26 agosto del 2011, la piazza di fronte alla sede degli uffici di Hillary Clinton, segretario di stato degli Stati Uniti d'America è stata un testimone di onore della volontà e della determinazione di un popolo che cerca di svincolarsi dalle catene che ostacolano il corso della loro storia. migliaia di iraniani e sostenitori della resistenza iraniana, provenienti da tutta l'America, vestiti in giallo, avevano solo due richieste urgenti: la rimozione del nome della resistenza iraniana dal black list americana e la protezione del campo di Ashraf, dove risiedono almeno 3400 uomini e donne della resistenza iraniana.

lunedì 22 agosto 2011

Libia: assalto al bunker di Gheddafi

AUGURI E CONGRATULAZIONI AL POPOLO LIBICO PER LA VITTORIA DELLA LORO EROICA RIVOLTA
Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia aderisce in pieno agli auguri espressi dalla signora Maryam Rajavi, presidente eletta dalla resistenza iraniana per la vittoria dell'esercito di liberazione Nazionale libico. Con la caduta del dittatore libico, Moammar Gheddafi si stringe il cerchio attorno al collo della madre patria del terrorismo e del fondamentalismo islamico iraniano che per tantissimi anni ha avuto il sostegno e l'appoggio del dittatore Gheddafi e in tutte le istituzioni internazionali il regime libico ha sostenuto tutte le istanze a favore del regime dei mullah rifiutando tutte le risoluzioni che in qualche modo miravano a colpire la politica della repressione e del terrorismo di Teheran. Ci auguriamo che con la caduta di Gheddafi il popolo libico possa ripristinare la libertà e la democrazia instaurandovi un governo democratico, laico e lontano dal fondamentalismo islamico che oggi giorno è in costante agguato, in ogni angolo del medioriente, per soffocare ogni voce del dissenso e della democrazia e per colmare il vuoto politico. Sicuramente dopo Gheddafi la freccia della libertà e della democrazia punterà maggiormente verso il paese Siria che è un altro capo saldo del regime iraniano fino a passare per Baghdad del Killer Almaleki, un altro uomo-dipendente del regime iraniano, e per finire la sua corsa a Teheran consegnando la bandiera della libertà e della democrazia nelle mani dei giovani iraniani con la quale spazzeranno poi il regime terrorista dei mullah verso la pattumiera della storia eliminando la madre patria del terrorismo, della guerra , dello spargimento del sangue e della discriminazione razziale, etnica e sessuale.
Davood Karimi, presidente dell'associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia




sabato 20 agosto 2011

Lettera dell'Associazione rifugiati politici iraniani all'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati



Onorevole Guterres, Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati



A nome dell'Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia desidero portare alla Sua conoscenza i nostri migliori saluti e cogliere occasione per ricordare a Lei e a tutti i responsabili del Suo ufficio le nostre profonde preoccupazioni circa la situazione in cui vivono i migliori figli del popolo iraniano appunto i residenti del campo di Ashraf. Come Lei ha ben presente il regime disumano dei mullah che fino ad oggi ha massacrato migliaia e migliaia di simpatizzanti della resistenza iraniana non vede l'ora di scatenare un altro genocidio ai danni dei residenti del campo di Ashraf, per mano del governo fantoccio iracheno che in questo momento è diventato uno strumento di repressione e di oppressione in Iraq.
Caro Commissario Guterres
Le chiediamo di intervenire prima che sia troppo tardi per dare la copertura internazionale per i residenti del campo che tra l'altro già godono dello statuto di protezione della quarta convenzione di Ginevra. Siamo sicuri che con un ulteriore intervento da parte di una istituzione internazionale quale vostra possiamo evitare un altro genocidio già annunciato dal governo di Almaleki. La storia ci guarda e ci interpellerà in un futuro prossimo quali iniziative abbiamo adottato per prevenire un altro massacro ai danni dei migliori figli del popolo iraniano che lottano per la libertà e la democrazia. Secondo noi la difesa dei diritti dei residenti del campo di Ashraf ha anche una priorità umana nonchè politica di cui il primo beneficio va a favore del mondo intero minacciato gravemente dal propagarsi del fondamentalismo islamico di matrice khomenista.
grazie e cordiali saluti



Davood Karimi, presidente Associazione Rifugiati Politici Iraniani residenti in Italia

venerdì 19 agosto 2011

NUOVO ATTACCO DELLE FORZE TERRORISTICHE IRANIANE CONTRO GLI ISRAELIANI

Con l'incrementarsi delle manifestazioni popolari siriane e la feroce repressione dei manifestanti nonchè la nuova posizione internazionale contro il dittatore siriano Bashar Asad, l'unico alleato strategico del regime dei mullah, Ahmadinejad ha voluto dare una mano al suo alleato e ha dato l'ordine ai suoi sicari libanesi-palestinesi di scatenare una valanga di fuoco suoi cittadini israeliani(l'attacco a diversi autobus israeliani sul territorio egiziano). L'obiettivo di tale operazione è quello di spostare l'attenzione dalle piazze siriane lungo il confine israeliano esportando la crisi al di fuori dei confini nazionale. Il timore legittimo e altrettanto disumano della dittatura iraniana è quella di perdere l'unico alleato strategico in medioriente da cui gestisce l'intera operazione Hamas-hezbollah. Non va dimenticato che per l'Iran il paese Siria è importante quanto la capitale iraniana: Teheran. Un notizia di pochi giorni fa giustifica enormemente il timore di Teheran: versamento di 6 miliardi di dollari nelle arterie economiche della Siria e il dislocamento di enormi quantità di armamenti e di personale altamente specializzato della Sepah passdaran nella capitale siriano. secondo i testimoni oculare e attendibili, ormai i capi della divisione Ghods della Sepah gestiscono la macchina della guerra e della repressione contro la rivolta del popolo siriano.
Associazione rifugiati politici iraniani residenti in italia condanna fermamente il vile attacco terroristico iraniano contro i bus israeliani e mette in guardia le autorità israeliane di cadere nella classica e tipica trappola di Teheran che cerca di spostare le attenzioni dalle piazze di damasco ai confini di Gaza. Ribadiamo ancora una volta che le ultime operazioni terroristiche iraniane sono l'altra faccia della macchina della repressione siriana contro i giovani donne e uomini che hanno ormai deciso di scendere in piazza e di ripulire le strade del paese da ogni traccia della dittatura e del fondamentalismo islamico.
Secondo noi in questo storico momento è necessaria una iniziativa collegiale internazionale per circoscrivere e ridurre il campo di operazione iraniana in medioriente appoggiando la rivolta dei popoli che con il loro sangue danno una nuova linfa nella lotta per la libertà e la democrazia. E' necessario un nuovo piano internazionale per incoraggiare le rivolte popolari e di vaccinarle seriamente contro il fondamentalismo islamico iraniana di matrice khomeinista. Finchè è in vigore questo albero del male e questo aggressivo e disumano tumore sociale non si possono intravedere seri cambiamenti in medioriente e di conseguenza la primavera araba e persiana resterà e rimarrà sempre in pericolo.La sicurezza internazionale e la stabilità nella regione sono due elementi che esigono una seria iniziativa politica-economica e militare a favore di coloro che sono disposti al costo della loro vita cambiare per sempre e definitivamente questa nera e disumana pagina che si è venuta a creare nell'11 febbraio del 1979.
Le radici del male sono a Teheran e la sua cura si trova altrettanto a Teheran: gli occhi di Neda sono i suoi fari!
Davood Karimi, presidente dell'Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia


martedì 9 agosto 2011

Maryam Rajavi a Ginevra





Il presidente Maryam Rajavi è arrivata ieri a Ginevra a capo di una delegazione della resistenza iraniana per una serie di incontri istituzionali con le autorità politiche locali e dell'Onu per discutere e sollecitare
la protezione del campo di Ashraf in cui vivono 3400 combattenti della resistenza iraniana di cui mille sono le donne.
All'inizio della giornata la presidente Rajavi si è recata a visitare il famoso sit-in dei simpatizzanti della resistenza iraniana che da 100 giorni sono in piazza adiacente della sede dell'Onu.
Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia aderisce in pieno a questa iniziativa ritenendola una occasione storica e senza precedenti sia per la comunità internazionale che per gli stessi iraniani dissidenti che da piu di 100 giorni sono in sit-in di fronte alla sede dell'Onu.

domenica 7 agosto 2011

Dear Hillary,I am afraid I am going to be murdered.



Nella foto Shaghayegh con un messaggio in mano: " aiutate per non far ripetere il massacro del campo di Ashraf"

LETTERA A HILLARY CLINTON DI UNA QUATTORDICENNE IRANIANA CHE VIVE NEL CAMPO DI ASHRAF
Mi chiamo Shaghayegh
ho 14 anni e vivo nel campo di Ashraf
nel 2008 mio padre è stato ucciso sotto la tortura del regime iraniano
era accusato di essere simpatizzante del movimento di opposizione dei Mojahedin del Popolo
non so perchè è stata ammazzata mia sorella Faese di 20 anni( uccisa di recente nell'attacco di 8 aprile al campo di Ashraf)insieme a altri 35 persone per mano delle forze armate irachene.
Dopo questo attacco è stato impedito ad un gruppo dei congressman american i di visitarci nel campo
Ora attendo il mio destino nel campo di Ashraf insieme a mia madre, due fratelli e altri 3400 uomini e donne
Gli Stati Uniti ci avevano promesso la protezione, invece, il dipartimento di stato ci ha inserito nella Black list, la scusa con cui il governo iracheno ci spara addosso
salvaci per favore rimuovendo il nome dei Mojahedin dalla lista nera del dipartimento di stato






My name is Shaghayegh.
I am 14 and live in Camp Ashraf, Iraq.
My father was tortured to death by Iranian government in 2008 since he was a supporter of Mujahedine-Khalq (MEK) opposition
movement.
So was my sister, Faezeh, 20 who was killed
along with 35 others by Iraqi forces in Camp Ashraf on April 8.
US Congressmen were prevented from visiting us here in Ashraf after the
attack.
Now I await my fate in Camp Ashraf with my mother, two brothers and 3,400 other men
and women.
The U.S. had promised us PROTECTION! Instead, the State Department has listed us as
terrorists, the excuse for Iraqi government to murder us.
Save us by removing the MEK from
the State Department terrorist list.

giovedì 4 agosto 2011

Iran: la tortura dietro le mura di Evin



On agosto - 3 - 2011


In Iran le persone arrestate sono state spesso trattenute per periodi prolungati durante i quali è stato impedito loro ogni contatto con gli avvocati o la famiglia, sono state torturate ed è stato loro negato l’accesso alle cure mediche. Alcune sono state condannate a pene detentive al termine di processi iniqui. Altre, condannate in anni precedenti a seguito di processi iniqui, sono rimaste in carcere.

Il regime iraniano cerca di nascondere tutto ciò e respinge ogni tipo di accusa.

Numerose associazioni per i diritti umani hanno più volte denunciato le gravi condizioni dei prigionieri nelle carcere iraniane. Said Pourheydar, giornalista e attivista di RAHANA, organizzazione che si occupa di diritti umani in Iran, ha raccontato la propria esperienza personale e quella di altri prigionieri politici di Evin, più in particolare del blocco 2A e dei blocchi 209 e 240. Riportiamo di seguito le sue parole.

La tortura dietro le mura di Evin di Said Pourheydar (traduzione di Daniela Zini)

Ritornare su quanto è accaduto è, al tempo stesso, doloroso e amaro, ma io credo, fermamente, che potremo liberarci da questo sguardo all’indietro soltanto quando avremo vinto; sarà, allora, tempo di guardare in faccia quello che accadrà. Ho scelto di liberare il mio spirito da questi amari ricordi e di parlarne, nella speranza che il mondo possa rendersi conto delle torture che la nobile gioventù iraniana, amante della libertà, accusata di pensiero e di filosofia “verde”, ha dovuto subire tra le morse della tirannia.

La tortura fisica

Ho diviso una cella di tre persone del blocco 350 di Evin con un prigioniero, le cui torture fisiche e psicologiche avrebbero distrutto ogni persona di spirito libero. Aveva 25 anni ed era stato arrestato con accuse ingiustificate e infondate da agenti dei guardiani della rivoluzione all’aeroporto Imam Khomeini. Era stato trasferito al blocco 2 A di Evin e aveva sopportato torture fisiche e psicologiche inimmaginabili durante i 6 mesi del suo isolamento.

Quelli che lo avevano interrogato gli avevano urinato in faccia. Era stato selvaggiamente picchiato ed era stato frustato sotto la pianta dei piedi. Aveva subito, a più riprese, l’elettroshock durante gli interrogatori; era stato talmente picchiato nei testicoli da perdere coscienza. Quelli che lo avevano interrogato avevano utilizzato pinze in diverse parti del suo corpo; tre di loro erano arrivati a trattarlo come un pallone, dandogli calci così violenti che i miei medici legali avevano, perfino, definito una forma di tortura, confermando le ferite al cranio e una frattura al naso.

Una delle peggiori forme di tortura sopportata da questo carissimo amico era stata lo stupro da parte degli agenti dei guardiani della rivoluzione che lo avevano interrogato; avevano versato dell’adesivo plastico nell’ano, poi, lo avevano strappato una volta consolidato.

Nonostante sia, ancora, dietro le sbarre, nonostante le torture brutali e inumane, rifiuta, sempre, di fare false confessioni.

Durante un colloquio di tre ore su una panchina del blocco 350, un altro dei nostri innocenti compagni verdi detenuti mi ha raccontato le torture subite, quando era nel blocco 2A. Gli avevano gettato un secchio di acqua gelida ed era stato tenuto in isolamento per dieci giorni in una cella di 1,25 m. di altezza. Per ore, lo avevano costretto a restare in piedi, nudo, fuori, in pieno inverno. A più riprese, gli avevano spinto la testa nella latrina dei bagni mentre tiravano lo sciacquone. Lo avevano selvaggiamente picchiato, lo avevano, completamente, denudato e lo avevano malmenato durante gli interrogatori. Sono solo alcuni esempi di tortura che ha dovuto sopportare nei due mesi di isolamento nel blocco 2A. È stato trasferito, qualche mese fa, nel blocco 350 di Evin, dove attende il processo.

Un’altra forma di tortura: obbligare i prigionieri a sedersi sul pavimento, nudi, mentre vengono colpiti alla schiena con randelli e cavi. Molti prigionieri sono obbligati a restare in piedi per ore. Due prigionieri hanno perso conoscenza dopo un tale trattamento. Si obbligano i prigionieri a prendere sostanze psicotrope. Hanno obbligato anche me. Li appendono per le spalle o per le gambe. Durante gli interrogatori, si blocca loro la testa al braccio di una poltrona e si prendono a calci le parti sensibili del corpo come i testicoli. Si obbligano i prigionieri a coricarsi sul ventre mentre due o tre persone camminano sulla loro schiena. Vi sono molte rotture di timpano a causa dei violenti colpi portati alla testa, al volto e agli orecchi. Si bendano, sovente, gli occhi dei prigionieri per impedire loro di reagire quando sono colpiti al volto. Non sono che alcuni esempi dell’infinità di metodi di tortura descritti da molti prigionieri politici, durante la loro detenzione nei blocchi 209, 240 e 2 A di Evin. Molti di questi prigionieri sono, attualmente, nel blocco 350 di Evin, o scontano la loro pena o attendono il loro verdetto, non sapendo cosa aspettarsi.

La tortura psicologica

Il dolore causato dalla tortura fisica può attenuarsi con il tempo, ma gli effetti della tortura psicologica persisteranno anni. Prima del mio arresto, il 5 febbraio 2010, a causa dei miei problemi cardiaci, prendevo, quotidianamente, una compressa di Pronol, un beta-bloccante da 10 mg. Oggi, il solo beneficio, ottenuto dai miei giorni passati in isolamento e dalle brutali torture psicologiche e fisiche subite, consiste nel prendere due o tre compresse di Pronol da 40 mg. al giorno, oltre a una infinità di sedativi che sono stato costretto ad assumere nei mesi che hanno seguito la mia liberazione dal carcere. L’impatto negativo sul mio psichismo ha, senza alcun dubbio, creato numerosi problemi nella mia vita quotidiana.

Quasi tutti i prigionieri politici hanno fatto l’esperienza di una forma di tortura psicologica o di un’altra. Anche supponendo, cosa impossibile, che un prigioniero non sia stato sottoposto a pressioni psicologiche, il tempo passato in isolamento è di per sé una delle peggiori forme di tortura psicologica.

Inutile dire che chiunque non abbia fatto l’esperienza dell’isolamento in prigione, fosse pure per una sola ora, non potrà mai capire appieno cosa significhi.

Le simulazioni di esecuzione, una forma orribile di tortura psicologica sono molto diffuse nel blocco 2A. Tre prigionieri con i quali ho parlato nel blocco 350 mi hanno detto di averle subite e uno dei detenuti del blocco 350 mi ha descritto come avesse subito due simulazioni di esecuzione.

Fanno visita al prigioniero prima dell’alba, mentre si trova in isolamento e gli dicono che, purtroppo, sarà giustiziato. Gli bendano, allora, gli occhi, lo legano e lo conducono nel cortile del blocco 2A. Mettono, poi, il prigioniero su uno sgabello, gli mettono un nodo scorsoio intorno al collo e gli chiedono quali siano le sue ultime volontà prima di essere impiccato.

Un amico mi ha detto di essere rimasto in piedi, gli occhi bendati, il nodo scorsoio intorno al collo, alla prima simulazione per 30 minuti, mentre chi lo aveva interrogato gli spiegava che attendevano l’arrivo del responsabile della prigione, di un osservatore giudiziario e del medico legale prima dell’esecuzione del verdetto. Dopo una mezz’ora, lo avevano informato che, poiché il direttore della prigione era impossibilitato a venire e l’esecuzione doveva aver luogo prima dell’alba, l’impiccagione era rinviata di qualche giorno.

Di certo, nessuno può comprendere appieno lo stato psicologico di un prigioniero politico costretto ad aspettare in piedi su uno sgabello, gli occhi bendati; nessuno può immaginare la sofferenza causata da un’attesa di quattro giorni prima di essere sottoposto alla stessa messa in scena.

Quattro giorni più tardi, lo avevano, di nuovo, svegliato e lo avevano, di nuovo, condotto nel cortile del blocco 2A. Di nuovo, il nodo scorsoio intorno al collo, veniva messo sullo sgabello della morte. Gli veniva letto il verdetto della sua esecuzione. Gli venivano chieste le sue ultime volontà. Gli togievano lo sgabello da sotto i piedi, ma la corda era troppo lunga e cadeva a terra; allora, le due persone che lo avevano interrogato e gli erano d’accanto scoppiavano a ridere e sentenziavano: “Questa volta, sei stato fortunato; la corda si è spezzata. Puoi tornare nella tua cella ora fino a quando decideremo di impiccarti.”

Sono sicuro che vi ricorderete dei ridicoli processi messi in scena, nel 2010, dopo le elezioni presidenziali, e delle false confessioni di alcuni personaggi noti e meno noti, che seguirono. Erano stati costretti a testimoniare contro se stessi e il Movimento Verde. Il modo in cui sono stati condotti questi processi è una lunga storia di cui ho intenzione di descrivere i dettagli: come preparano i prigionieri, per giorni, a ripetere quello che dovranno dire in tribunale oppure come li costringano a farsi crescere i baffi prima del processo.

Sono sicuro che vorreste sapere perché certi personaggi abbiano accettato di testimoniare contro se stessi e il Movimento Verde. Uno di questi personaggi di primo piano ha resistito alle pressioni di coloro che lo interrogavano per due mesi. Come ha, infine, ceduto?

Un giorno, si sono presentati dalla moglie e dalla figlia di questo personaggio e le hanno portate in prigione con il pretesto di far incontrare loro, rispettivamente, il proprio marito e il proprio padre. Hanno chiesto loro di restare in una stanza nell’attesa dell’arrivo del prigioniero.

La stanza aveva uno specchio trasparente. Il prigioniero era stato condotto dall’altro lato dello specchio. Gli avevano detto: “Come vedi, abbiamo portato tua moglie e tua figlia qui. Spetta a te decidere se vuoi parlare in tribunale o no.” Il prigioniero aveva continuato a rifiutare di confessare. Chi lo interrogava aveva, allora, chiamato il suo collega al telefono: “Haji, crede ancora che si scherzi.” Aveva riattaccato il telefono. La porta della stanza nella quale si trovavano sua moglie e sua figlia era aperta. Due prigionieri pericolosi e nerboruti, condannati per assassinio, erano, allora, entrati nella stanza. Chi lo interrogava gli si era parato davanti: “Vedi, fratello mio, quei due uomini accanto a tua moglie e a tua figlia; sono stati condannati a morte per assassinio. È da un pò che sono in prigione e non hanno contatto con una donna da molto tempo. Ti lascio un minuto per riflettere sulla tua risposta, vuoi o no andare in tribunale e sederti di fronte alle telecamere? Se la tua risposta è no, io dirò loro di iniziare là, proprio davanti a te.” Ed ecco come questo personaggio di primo piano è stato obbligato a testimoniare contro se stesso e gli altri.

Questi sono solo tre esempi di tortura psicologica subita dai prigionieri politici del blocco 2A e dei blocchi 209 e 240. Ed è solo quello che è accaduto a 19 dei 160 prigionieri politici detenuti nel blocco di Evin con i quali ho avuto il privilegio di conversare per ore.

Inutile dire che per comprendere la profondità della tragedia ed esporre, chiaramente, le gravi violazioni dei diritti umani, dovremmo prendere in considerazione tutto quello che centinaia di altri amici hanno subito prima e dopo la mia detenzione nel blocco 350 di Evin, senza dimenticare i detenuti in isolamento nei blocchi 209, 240 e 2A di Evin, nella prigione di Rajai Shahr o in altre prigioni iraniane.

In quanto giornalista, recentemente uscito di prigione, attesto, che, a dispetto di tutte queste torture e persecuzioni, a dispetto dell’isolamento della società e della disperazione, i prigionieri del Movimento Verde Democratico, nelle morse di una dittatura, continuano a resistere con dignità all’interno del blocco 350 della prigione di Evin. Aspetto la liberazione di tutti questi combattenti della libertà e sono sicuro che il giorno in cui saremo tutti liberi giungerà prima di quanto immaginiamo.

martedì 2 agosto 2011

Uno straordinario documento storico sul grande leader popolare iraniano Mohammad Mossadegh

Iran, impiccato 19 enne

ANSA.it
Da inizio anno sono state almeno 174 le condanne capitali
01 agosto, 14:47



(ANSA) - TEHERAN, 1 AGO - Ancora un'esecuzione capitale in Iran: un giovane di 19 anni, condannato a morte per sequestro e violenza carnale nei confronti di una ragazza di 16 anni, e' stato impiccato sabato nel carcere di Machhad, nel Nord-Est del Paese. E' quanto riporta il quotidiano Khorassan. Dall'inizio dell'anno sono state almeno 174 le persone messe a morte dalla giustizia iraniana, secondo un bilancio realizzato a partire dalle notizie riportate dalla stampa locale.

lunedì 1 agosto 2011

CRIMINI CONTRO L'UMANITA'. Appello lanciato dalla signora Djarsa Premoli


Ricevo e volentieri pubblico appello lanciato dalla signora Djarsa Premoli a proposito della strage di Norvegia in cui morirono piu di 80 persone. Naturalmente aderisco in pieno a questo appello.
Anders Behring Breivik OSLO NORVEGIA.
POPOLO DI FB
E TUTTI MULTIMEDIALE INTERNET,UNITEVI A CONDANNARE QUEST'UOMO PSICOPATICO CHE NON SIA DI ESEMPIO A NESSUNO PSICOPATICO A FARE LA STESSA COSA.METTENDOLO IN UNA CELLA ISOLATA E CHE NESSUNO NE PARLI O LO NOMINI PIU'!QUESTA E' LA SUA VERA CONDANNA!LUI VUOLE LA CELEBRITA' E NOI NON DOBBIAMO CADERE NELLA SUA TRAPPOLA! IGNORARLO E ISOLARLO!

 
AID : AGENZIA IRAN DEMOCRATICO