domenica 31 luglio 2011

Siria: Cicchitto, Onu ipocrita usa due pesi e due misure


CORRIERE DELLA SERA.IT
CONDANNA UNANIME DELL'OCCIDENTE. OBAMA: «ORRORE, ISOLARE ASSAD»
Cannonate sulla folla: massacro in Siria
A Damasco bombe sui manifestanti
Ad Hama l'esercito spara sulla folla che nelle settimane scorse ha manifestato contro il regime. È un massacro

La strage in città

MILANO - La Siria è un Paese sull'orlo della guerra civile. E il bilancio dell'offensiva dell'esercito di Bashar el Assad è traumatico: quasi 140 le vittime di cui un centinaio solo ad Hama. All'alba i tank sono entrati nella città 200 chilometri a nord di Damasco e hanno aperto il fuoco contro la folla che nelle scorse settimane aveva manifestato contro il regime. Le fonti locali dicono che i carri armati dell'esercito hanno investito la città e i suoi dintorni con una pioggia di granate, a un ritmo di almeno quattro al minuto. Acqua ed elettricità verso i principali quartieri sono stati tagliati: una tattica abitualmente usata dai militari nelle operazioni di repressione. Il direttore dell'Organizzazione nazionale per i diritti umani, Abdel Karim Rihawi, ha dato notizia di altri 36 morti nel resto del Paese: cinque ad Homs, tre nella provincia nord-orientale di Idlib, 21 a Deir Ezzor (dove 57 soldati di Assad, inclusi tre ufficiali, sono passati a sostenere i manifestanti), sei a Harak, nel sud e uno a al-Bukamal, sempre nell'est. E almeno 42 manifestanti sono rimasti feriti a Damasco dpo che la polizia ha lanciato bombe imbottite di chiodi per disperdere una protesta nel sobborgo di Harasta. Lo hanno riferito due testimoni. Unanime la condanna dell'occidente: Francia, Gran Bretagna, Usa e Italia hanno stigmatizzato la sanguinosa repressione. Barack Obama ha espresso «orrore» per le violenze in Siria e ha chiesto di isolare il presidente Assad, che sta facendo ricorso «alla tortura, alla corruzione e al terrore». Obama ha reso omaggio ai «coraggiosi» manifestanti siriani e ha aggiunto che la Siria sarà un luogo migliore «quando la transizione democratica sarà realizzata». Franco Frattini ha lanciato un appello affinché cessi «questa orribile repressione» e ha ordinato all'ambasciatore italiano di rientrare d'urgenza a Damasco per seguire da vicino l'evolversi della situazione. Il ministro degli Esteri italiano ha poi chiesto in un'intervista al Tg2 «che si riunisca di urgenza il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per prendere una posizione molto ferma».


Roma, 31 lug. (Adnkronos) - "Purtroppo sta emergendo ancora una volta l'ipocrisia che caratterizza una parte cospicua della gestione politica dell'Onu: i due pesi e le due misure fra la Libia e la Siria sono assolutamente clamorosi. In Siria non c'e' una ribellione armata, ma c'e'una rivolta di un popolo disarmato che viene sistematicamente bombardato, ucciso e torturato nelle carceri. Ci auguriamo che la vicenda siriana non si risolva in una strage permanente e quella libica in una operazione di potere della Francia di Sarkozy". Lo dichiara il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto.

Iran acid victim spares attacker from retribution


TEHRAN - | Sun Jul 31, 2011 6:07am EDT
(Reuters) - An Iranian woman blinded with acid by her suitor for turning down his marriage proposal spared him at the last minute from being blinded too as punishment for his crime, Iranian media reported on Sunday.

Ameneh Bahrami lost her sight in 2004 when Majid Mohavedi poured acid onto her face after she spurned his offers of marriage.

In 2008, a court sentenced Mohavedi to be blinded in both eyes for taking away Bahrami's sight, using the principle of retribution permitted under Iran's Islamic law.

"I have been trying for seven years to get the qisas (retribution) sentence, but today I decided to pardon him," Ameneh was quoted as saying by the ISNA news agency.

Ameneh said the international interest in the case was one reason for deciding to drop her demand for the sentence of retribution to be carried out.

"It seemed like the entire world was waiting to see what we did," she said.

Rights group Amnesty International urged Iran not to inflict the punishment.

The concept of "qisas" also applies to other crimes in Iran, such as murder. A victim's family can demand the death of a convicted murderer or commute the sentence in return for financial compensation from the criminal.

Tehran prosecutor general Abbas Jafari Dolatabadi praised Ameneh's move as a "courageous act" and said the judiciary had until then been determined to carry out the sentence.

"Everything was ready for carrying out the qisas on Majid's eyes, but Ameneh pardoned him on the brink of the execution of the sentence," Dolatabadi told ISNA.

"Ameneh is seeking (financial) compensation for other injuries inflicted on her," he added, without giving details.

A lawyer for Mohavedi had previously said his family would have great difficulty in finding the amount of money sought by Ameneh as their only asset was a house in Tehran.

Bahrami, whose face is still disfigured after undergoing several surgeries, said she had spared Majid from qisas but still seeks some 150,000 Euros in financial compensation.

"I will not forgo the compensation...which I need for my medical treatment," she said.

Mohavedi has completed seven years of a prison sentence and cannot be released unless compensation is paid.

giovedì 28 luglio 2011

Siria, Nirenstein: approvata mozione bipartisan sulla repressione in corso


Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera


"Sono molto soddisfatta per l'approvazione unanime della mozione bipartisan, che ho presentato come prima firmataria, sulla repressione in corso in Siria, discussa oggi dall'Aula di Montecitorio. Questa mozione rappresenta anche il compimento dell’impegno preso insieme a numerosi colleghi parlamentari con Farid Ghadry, dissidente siriano, presidente del Reform Party of Syria, che avevamo ospitato a Montecitorio il mese scorso.

Siamo il primo parlamento europeo ad adottare un atto di indirizzo sulla crisi siriana, che coinvolge tutta l’assemblea senza distinzioni politiche, impegnando il governo su svariati fronti, dalla salvaguardia dei diritti umani dei cittadini siriani alla mobilitazione in sede europea e ONU per creare una pressione diplomatica internazionale sul regime di Damasco.

Nella mia dichiarazione di voto ho ribadito come il mondo intero abbia oggi il dovere di difendere, con coesione, i diritti umani della popolazione siriana in lotta contro un regime che l'ha oppressa per decenni. E’ anche arrivato il momento di capire che, per aprire la strada per la pace in Medioriente, è necessario fare finalmente luce sullo snodo che la Siria rappresenta nelle dinamiche dell’area, con la sua protezione a Hamas e Hezbollah e con il suo stretto legame con l'Iran.

Hanno sottoscritto la mozione tra gli altri: Margherita Boniver (Pdl), Adolfo Urso (Fli), Paolo Corsini (PD), Enrico Pianetta (PdL), Massimo Polledri (Lnp), Olga D’Antona (Pd), Beatrice Lorenzin (PdL), Benedetto Della Vedova (Fli), Giuseppe Calderisi (PdL), Ferdinando Adornato (UDC), Renato Farina (PdL), Alessandro Maran (PD)”.

No al regime dittatoriale dei Mullah No al fondamentalismo islamico in Iran Si alla protezione per I residenti del campo Ashraf



Manifestazione degli iraniani a Roma
Giovedi 28 luglio 2011 ore 14.30
Piazza San Marco di fronte alla sede dell’ONU


La comunita’ iraniana a Roma e simpatizzanti della Resistenza Iraniana organizzano una manifestazione a Roma al fine di denunciare le continue violazioni dei diritti umani in Iran e per la protezione dei residenti del campo Ashraf e in Iraq, in cui vivono 3400 esuli iraniani, assediati dalle forze armate irachene che sono di fatto ingaggiate dal regime di Teheran. | Il regime teocratico iraniano, con le continue violazione dei più elementari diritti del suo popolo sia ad Ashraf che in Iran, con il sostegno al terrorismo internazionale ed all’integralismo islamico, con il suo programma di dotarsi di armi nucleari e il continuo rifiuto di tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è un evidente pericolo per tutta la Comunità Internazionale.

lunedì 25 luglio 2011

RAZZISMO, NIRENSTEIN: EUROPA SEGUA ITALIA E NON PARTECIPI A DURBAN 3

Dichiarazione dell'On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera

“La decisione dell'Italia di non prendere parte a Durban 3, ovvero alle celebrazioni del decennale dalla conferenza di Durban, che si terranno a New York in concomitanza con l'apertura dei lavori dell'Assemblea Generale dell'ONU il 22 settembre, mi riempie di soddisfazione. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, nell'annunciare i motivi del ritiro italiano, ha chiarito che la piattaforma di Durban si è trasformata da foro di dibattito e coordinamento dell'azione internazionale contro il razzismo, in una tribuna di accusa contro Israele. Paradossalmente, Durban promuove il razzismo, in particolare contro Israele, invece che combatterlo. L'Italia con questa scelta dimostra nuovamente l'impegno del nostro Paese nel cercare soluzioni realistiche e non propagandistiche per la lotta al razzismo e la promozione dei diritti umani.

Auspico che la posizione italiana – in linea con quella del Canada, degli Usa, dell'Olanda, della Repubblica Ceca e di Israele, sia assunta dai Paesi europei tutti. Peraltro, definire razzista uno Stato che conta ai vertici delle sue più alte istituzioni rappresentanti arabi, beduini, drusi, etiopi, russi e via dicendo, sembra più un esercizio di bassa retorica che di proficuo approfondimento”.


Roma, 25 luglio 2011

sabato 23 luglio 2011

Iran: assassinato scienziato nucleare


Scienziato nucleare assassinato a Teheran
Lo riferisce l'agenzia di stampa Isna
23 luglio, 21:23

TEHERAN- Un fisico nucleare iraniano e' stato assassinato oggi a Teheran da sconosciuti in motocicletta che gli hanno sparato davanti a casa. La moglie era con lui ed e' stata ferita. Ne hanno dato notizia le agenzie di stampa. La prima a riferire dell'omicidio e' stata la Mehr verso le 14:30. ''Un professore di fisica esperto di nucleare e' stato ucciso alcune ore fa'' davanti a casa sua Teheran, ha scritto senza precisare l'identita'. Successivamente l'Isna e l'Irna hanno reso noto che la vittima e' Daryoush Rezaie, 35 anni, insegnante universitario specializzato in fisica nucleare, con ''legami'' con l'Organizzazione iraniana dell'energia atomica.

La Mehr ha anche detto che Rezaie lavorava proprio per l'Agenzia atomica iraniana come ricercatore in fisica neutronica, ma il vice ministro dell'Interno Safarali Baratlou ha voluto precisare che non e' chiaro se la vittima fosse uno scienziato nucleare dell''Iran e che ''le indagini della polizia continuano ... Per ora nessuno e' stato arrestato''. L'uccisione di oggi e' l'ultimo di una serie di episodi che in questi ultimi anni ha visto coinvolti scienziati nucleari iraniani, vittime d'attentati o di sparizioni mai spiegate. Ogni volta Teheran ha accusato Israele e le potenze occidentali di esserne responsabili nell'intento di boicottare il controverso programma nucleare iraniano. L'ultimo episodio risale allo scorso 29 novembre: le auto di due responsabili, Majid Shahriari e Ferydoun Abbassi Davani, saltarono in aria in seguito all'esplosione di ordigni piazzati vicino alle vetture da motociclisti mai identificati.

Shahriari, responsabile del progetto sui reattori nucleari, mori'; Abbassi Davani, uno dei piu' importanti specialisti iraniani nel settore dei laser utilizzati dal ministero della Difesa, fu invece solo leggermente ferito e da febbraio e' il direttore dell'Organizzazione atomica iraniana. Alcuni mesi prima, il 12 gennaio 2010, un altro scienziato nucleare iraniano di fama internazionale, Masoud Ali Mohammadi, era stato ucciso dall'esplosione di una moto-bomba mentre usciva dalla sua abitazione a Teheran. ...

giovedì 21 luglio 2011

Iran, il governo nega l'ingresso all'inviato Onu per i diritti umani

Per Teheran la nomina del rappresentante delle Nazioni Unite è una mossa politica e illegale - "Nominare un rappresentante speciale per i diritti umani in Iran è una mossa politica e illegale e la Repubblica Islamica non permetterà all'inviato di entrare nel Paese in qualsiasi circostanza". Con queste parole, pronunciate dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast, il governo di Teheran risponde alla nomina, nel giugno scorso, dell'ex ministro degli Esteri maldiviano, Ahmed Shaheed, come inviato speciale Onu per i diritti umani in Iran. Mehmanparast ha affermato che il governo di Teheran considera la nomina di Shaheed un tentativo dei Paesi occidentali di esercitare pressioni politiche sull'Iran: "Purtroppo la questione dei diritti umani è uno strumento politico nelle mani di alcuni Paesi occidentali che, a loro volta, sono accusati in molti casi di aver violato i diritti umani"

Se la guerra conviene ai leader arabi in crisi Il Giornale, 21 luglio 2011


di On. Fiamma Nirenstein

Quando un leader ha come scopo di rafforzare il suo potere e di sfuggire a qualsiasi resa dei conti, cosa fa? Mette in piedi un conflitto esterno con relativa teoria della cospirazione, fa polverone e crea rumore di spari, sparge sangue e chiama alle armi.. insomma fa una guerra. Questa è la situazione mediorientale oggi, specialmente dopo le rivoluzioni che abbiamo benevolmente chiamato “primavera araba”. Chi le ha fatte, chi le sta facendo, chi le teme… ovunque tuttavia l’incertezza del futuro solleva un clangore di spade, o meglio un ergersi di missili, e naturalmente il nemico evocato per il proprio comodo è Israele con l’intero contorno americano e occidentale, se è vero che oggi il presidente degli Stati Uniti Obama risulta nel mondo musulmano ancora meno amato di George Bush. Per esempio, secondo un’indagine del centro arabo-americano otto arabi su dieci hanno un parere negativo del ruolo internazionale degli USA, e solo cinque egiziani su cento vedono l’America positivamente, contro i trenta del 2009.

I più esplicitamente determinati alla guerra per evitare i propri guai, sono gli hezbollah, la milizia sciita che l’Iran e la Siria armano e mantengono come un autentico esercito di dominazione in Libano: Saad Hariri, figlio di Rafik, ha dichiarato da Parigi, dove ha riparato, che il vero problema del suo Paese sono gli hezbollah, perché non sanno come usare le loro batterie. Un nuova rivoluzione democratica potrebbe tentare di eliminare questa continua ipoteca che pesa sul Libano specie da quando gli hezbollah sono stati accusati ufficialmente dal Tribunale Internazionale di avere ucciso il primo ministro Rafik Hariri nel 2005 e quindi Nasrallah si agita accusando Israele di ogni male per scampare al giudizio. Il Libano tuttavia ormai si interroga sul senso di tutte quelle armi accumulate da Nasrallah: così il capo degli Hezbollah, promette nei suoi tipici discorsi d’odio una nuova guerra, stavolta a causa delle acque territoriali. Israele infatti ha scoperto in mare una quantità di gas naturale, Nasrallah ha subito lanciato una campagna furiosa e pretestuosa nella stesso tempo, dal momento che Israele delimitò con Cipro le sue acque nel 2007, e il Libano fece lo stesso firmando un accordo con Cipro. Ma Nasrallah usa l’argomento come un vero casus belli proprio come fa con le Shaba Farms nel 2000, e si tira dietro il governo acquiscente e spaventato che si è creato a sua immagine e somiglianza. Una situazione molto pericolosa, aumentata dalla crisi dei suoi alleati, Siria e Iran.

Dell’Iran basterà dire che Ahmadinejad è personalmente in rotta con la leadership religiosa, che il Paese è tutto proiettato verso un cambiamento che solo la repressione impedisce, e che qualsiasi fuoco esterno può far comodo, specie quello appiccato per interposta persona.
Assad di Siria,specie dopo gli scontri sanguinosi di questo fine settimana in cui anche Damasco è stata tartassata e dopo la riunione di Istanbul che ha creato una forte coalizione di opposizione, ha perso qualsiasi residuo di fiducia da parte del mondo esterno: che cerchi di buttarla in scontro con Israele lo si è già visto quando ha buttato dentro i confini dello Stato Ebraico centinaia di concittadini e di profughi per creare una provocazione.

Ma ancora più significativo è che, nonostante la rivoluzione, abbia accelerato i rifornimenti di armi, inclusi missili balistici molto avanzati, agli Hezbollah. Con l’aiuto di esperti iraniani e nordcoreani, la Siria seguita a produrre missili sofisticati in un sito segreto chiamato “la montagna dei missili” costruito dentro Jabal Taqsis, una montagna di fronte a Hama. Dopo la consegna agli Hezbollah di due Scud D con una gittata di 700 chilometri,fino in Israele, in Giordania in Turchia, la milizia sciita ha ricevuto anche un certo numero di M600, che fanno 250 chilometri, fino a Tel Aviv. Hezbollah, grata, collabora, dicono i ribelli, nella repressione armata. Anche Hamas, che ha sparato parecchi missili da Gaza in questi giorni, ha ormai circa 10mila proiettili balistici di cui i Fajr 5 che possono raggiungere Tel Aviv. Questo capita da quando la rivoluzione Egiziana ha cambiato gli equilibri fra Gaza e Israele e per ingraziarsi la Fratellanza Musulmana. Da Febbraio Hamas ha contrabbandato tre volte il quantitativo di esplosivo entrato nel corso di tutto il 2010.

Per altro, oltre allo schieramento legato all’Iran la situazione è pericolosa per la pace anche in zona sunnita. In Egitto il consiglio militare sta muovendosi per porre le basi per una nuova costituzione che protegga e espanda la sua autorità, e un esercito al potere è più forte quando la situazione con i vicini è tesa: del resto non c’è candidato alle prossime elezioni che non abbia dichiarato di voler rivedere o cancellare il trattato con Israele. Inoltre avanza a grandi passi la nuova alleanza con l’Iran. E persino in Tunisia la rivoluzione dei gelsomini ha prodotto una bozza della prossima costituzione che, pur con qualche opposizione, proibisce qualsiasi normalizzazione con Israele. Per essere la migliore speranza di chi si aspetta che la primavera araba dia frutti di pace e democrazia, andiamo bene.

mercoledì 20 luglio 2011

Salute. Aids: da conferenza Ias Roma appello a Iran, liberare medico in carcere .


19 Luglio 2011 ore 17:58



Roma, 19 lug. (Adnkronos Salute) - Liberare il dottor Arash Alaei dalla prigione di Evin, nella quale e' stato rinchiuso nel 2008 a causa della sua attivita' di cura e ricerca contro l'Hiv/Aids. E' l'appello al Governo dell'Iran lanciato oggi dalla sesta Conferenza della International Aids Society (Ias 2011) a Roma. Presente nella Capitale, alla conferenza stampa per rilanciare il caso, anche Kamiar Alaei, rilasciato dopo 870 giorni di prigionia insieme al fratello Arash, che però è ancora dietro le sbarre. Arash e Kamiar sono stati arrestati nel giugno del 2008 con l'accusa di aver 'comunicato con Governi nemici' durante la loro attivita' nazionale e internazionale di medici esperti di Hiv/Aids impegnati in campagne di prevenzione e di cura. "Tutto quello che abbiamo fatto - ha detto Kamiar, docente alla State University di New York ad Albany (Usa) - e' dedicarci all'Aids e a tutte le aree che ne vengono toccate: la cultura, la medicina, la vita sociale. Il nostro programma era stato approvato dalle autorita' iraniane e noi conosciamo la religione islamica e sappiamo che non vieta di comunicare con altre persone. Tutto era chiaro e trasparente. Ma sfortunatamente siamo stati arrestati". "In prigione - racconta ancora il medico - abbiamo proseguito la nostra attivita', dedicandoci ai carcerati e insegnando loro dalle piu' semplici regole di igiene, quella ad esempio di lavarsi bene le mani, fino a dare informazioni importanti sui danni del fumo. E' stato difficile, ma lo abbiamo fatto". "Speravo che mio fratello - prosegue - fosse liberato dopo aver scontato meta' della sua pena, in virtu' di una legge iraniana che lo prevede per le persone incarcerate per la prima volta nella loro vita. Ma quel tempo e' gia' passato e il suo caso e' stato dimenticato o sommerso dalla burocrazia. Per questo rilanciamo l'appello", sottolinea. Il presidente della Ias, Elly Katabira, ha aperto la conferenza di Roma proprio focalizzandosi sul caso di Arash Alaei e molti relatori hanno cominciato le loro sessioni facendo lo stesso. "Ringraziamo tutti - ha detto Kamiar - e anche coloro che in questi anni hanno organizzato campagne di sensibilizzazione". E' online una petizione al Governo della Repubblica islamica dell'Iran da firmare all'indirizzo IranFreeTheDocs.org.


APPELLO DELL'AMNESTY INTERNATIONAL

Iran: Arash Alaei deve essere liberato!
Data di pubblicazione dell'appello: 19.07.2011
Status dell'appello: aperto

Kamiar Alaei e suo fratello, il dottor Arash Alaei, esperti nella prevenzione e nel trattamento del virus dell’Hiv/Aids, sono stati condannati nel gennaio 2009 rispettivamente a tre e sei anni di carcere per “collaborazione con un governo nemico”. Prima della condanna avevano trascorso sei mesi in custodia cautelare, senza accesso a un avvocato e avevano subito un processo iniquo, durante il quale sono state prodotte prove segrete, che non hanno potuto vedere né contestare. Si crede che siano stati arrestati per i loro legami con studiosi e organizzazioni della società civile stranieri, alcune delle quali statunitensi. Entrambi sono specialisti molto rispettati nel campo della lotta all’Hiv/Aids e nessuno dei due è mai stato politicamente attivo.

Secondo l'accusa, la partecipazione dei due fratelli a una conferenza internazionale sull’Aids rientrava nel loro piano per provocare una cosiddetta "rivoluzione di velluto" in Iran. L’episodio a cui si riferiva l’accusa era relativo a una conferenza di tre giorni, finanziata dal Dipartimento di Stato americano e organizzata dalla Aspen Institute, a Washington (DC), un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro dedicata a “promuovere una guida illuminata, l'apprezzamento di idee e di valori senza tempo e aperta al dialogo sulle questioni contemporanee", a cui avevano partecipato una decina di persone, compresi i fratelli Alaei,

Gli appelli presentati dai due uomini contro le loro condanne, sono stati respinti ad aprile e maggio 2009. Nel gennaio 2010, il loro avvocato ha dichiarato di aver presentato una nuova richiesta di riesame giudiziario, sulla base del fatto che gli Stati Uniti non sono stato un "governo nemico", ma anche questo è stato respinto.

Nel maggio 2009, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha concluso che la detenzione di Arash e Kamiar Alaei è “arbitraria, perché viola gli articoli 9, 10, 25 e 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani e degli articoli 9, 14, 18, 19 e 22 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui la Repubblica islamica dell'Iran è uno stato parte.” Il Gruppo ha inoltre concluso che “la detenzione dei suddetti medici è anche contraria agli articoli 12 e 13 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e ai Principi 11-1, 17-2 e 18-1 del Corpo di principi per la protezione di tutte le persone sottoposte a qualsiasi forma di detenzione o prigionia" e ha invitato le autorità iraniane ad adottare immediatamente le misure necessarie per porre rimedio alla situazione.

Da giugno 2011 Kamiar Alaei è in libertà, dopo aver finito di scontare la pena; il dottor Arash Alaei rimane, invece, in carcere a Teheran e Amnesty International, insieme a molte organizzazioni sanitarie e dei diritti umani, chiede con forza che sia rilasciato immediatamente e senza condizioni e che gli sia permesso di tornare al suo importante lavoro.

nuova esecuzione pubblica in Iran

lunedì 11 luglio 2011

Iran, Intergruppo regione: dopo meeting Parigi mozione per Ashraf

A nome dell'Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia ringrazio Consigliera Isabella Rauti per tutto il Suo impegno a favore del popolo iraniano e del campo di Ashraf. Un impegno prezioso e senza precedenti. grazie ancora e buon lavoro signora Rauti


Lunedì 11 Luglio 2011 15:39
(OMNIROMA) Roma, 06 LUG – “Nella Conferenza internazionale di Parigi del 18 giugno scorso, organizzata dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), è stato chiesto alle autorità internazionali di intraprendere nei confronti del regime dei Mullà, una politica efficace che inviti il Governo di Teheran al pieno rispetto dei diritti umani, al riconoscimento della Resistenza Iraniana e a garantire la sicurezza e l’incolumità dei residenti nel campo di Ashraf. La Consigliera Isabella Rauti, Presidente dell’Intergruppo regionale “Amici dei diritti umani in Iran” del Consiglio Regionale del Lazio, dopo aver partecipato con la delegazione regionale alla Conferenza di Parigi, ha depositato una mozione che impegna la Giunta a sollecitare il Governo italiano a esercitare, di concerto con l’Unione europea, la massima pressione perché siano sospese le condanne a morte e le esecuzioni capitali e affinché tutti i prigionieri politici e coloro che sono stati arrestati in seguito alle proteste e alle manifestazioni siano rimessi in libertà”. Lo comunica l’intergruppo “Amici dei diritti umani in Iran”: “Il lavoro del Consiglio regionale – ha dichiarato Isabella Rauti – sta proseguendo sulla stessa strada indicata dal CNRI per porre in atto ogni utile azione di sensibilizzazione per una Repubblica democratica iraniana rispettosa dei diritti civili e umani. Per questo ho depositato un provvedimento, che verrà discusso nei prossimi giorni in Consiglio regionale, che impegna la Giunta regionale a sollecitare il Governo italiano a esercitare, di concerto con l’ Unione europea, la massima pressione perché siano sospese le condanne a morte e le esecuzioni capitali in Iran e affinché tutti i prigionieri politici e coloro che sono stati arrestati in seguito alle proteste e alle manifestazioni siano rimessi in libertà. La mozione, inoltre, impegna, la Giunta al sostegno della linea del dialogo e della non violenza come scelta essenziale a cui ispirarsi riguardo tutte le iniziative messe in campo da cittadini, Associazioni, Ong e Paesi democratici volte al superamento di ogni forma di repressione e violenza. In particolare il documento esorta il Governo italiano, l’Onu e tutti gli organismi internazionali per trovare quanto prima una soluzione pacifica e duratura e per garantire ogni forma di aiuto e protezione al territorio e alla popolazione di Ashraf”. Come ha ricordato Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) in questi anni il regime iraniano ha represso con la forza qualsiasi manifestazione di dissidenza, continuando a torturare, incarcerare e assassinare la popolazione che pacificamente scende in piazza per chiedere libertà, democrazia e separazione tra potere politico e religioso. “A nome dell’Intergruppo regionale “Amici dei diritti umani in Iran” – ha concluso Isabella Rauti – mi associo alla solidarietà espressa dalla Presidente Rajavi ai manifestanti della ‘primavera araba’, nella loro battaglia per la libertà e la democrazia”.

venerdì 8 luglio 2011

«L’Iran è un carcere a cielo aperto: abbattiamolo»



Intervista con Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della resistenza iraniana in visita a Roma
di Gaia Cesare



Da anni si batte per un Iran democratico, libero dal giogo della dittatura teocratica. Maryam Rajavi, presidente del Consiglio nazionale della Resistenza iraniana, è stata nei giorni scorsi in Italia «per chiedere aiuto per i residenti di Campo Ashraf contro il regime di Teheran che vuole massacrarli».
Che significa essere una dissidente in un campo come quello di Ashraf?
«Significa continuare a battersi per i valori democratici. Cercare di liberare gli iraniani dalla miseria che è vivere in una prigione a cielo aperto come l’Iran. Mettere a rischio le proprie vite per combattere contro la dittatura religiosa».
Vite a rischio come è successo nel blitz dell’8 aprile, in cui sono morti 36 residenti del campo. Ma questa volta per mano delle forze irachene.
«Sì, e dietro quell’attacco messo a segno dalle forze irachene c’è la mano del regime iraniano, il segno della sua influenza su Baghdad».
Ma perché in Iran non ha attecchito la primavera esplosa negli altri Paesi arabi?
«L’insoddisfazione è pronta a esplodere nella società iraniana. Ma la repressione è troppo forte. Non è un caso che l’Iran sia il Paese col più alto numero di esecuzioni al mondo. In confronto le dittature di Gheddafi in Libia e di Assad in Siria sono pallidi regimi. Pensate che sono almeno 70 in Iran le istituzioni statali incaricate della repressione e della sicurezza».
E la rivoluzione che corre on line?
«Sono almeno 12 le istituzioni incaricate di monitorare Internet e che filtrano le e-mail e i siti web. Gran parte dei giovani della rivolta del 2009 sono stati arrestati grazie al controllo degli account di posta elettronica».
Che genere di aiuto vi aspettate?
«Vorremmo che l’Occidente non si voltasse dall’altra parte quando si tratta di difendere chi abita a Campo Ashraf. E invece l’influenza dei mullah iraniani sull’Irak cresce sempre di più».
Eppure anche voi siete un movimento islamico. Riuscite a immaginare un Paese che non sia governato dall’islam?
«Vogliamo una repubblica basata sulla separazione tra stato e chiesa. La nostra visione dell’islam è di tolleranza e pace».
Gli iracheni vogliono chiudere il campo entro la fine dell’anno. Perché questa mossa non va fatta?
«Perché è quello che vogliono i mullah, che l’opposizione venga eliminata. E cercano di farlo anche grazie alla loro influenza sull’Irak. Nonostante ciò siamo pronti ad accettare la decisione del Parlamento europeo e a trasferirci in Paesi terzi purché riceviamo protezione».

Sfida al regime di Teheran I nemici giurati dei mullah in lotta per sopravvivere




Nella foto: campo di Ashraf
di Paolo Guzzanti

Sono 3.400 i dissidenti iraniani che vivono nel campo di Ashraf, in Irak Adesso vogliono cacciarli, ma sarebbe una sconfitta di tutto l’Occidente



Quando andai a Parigi per incontrare Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della resistenza iraniana, mi trovai di fronte a una donna straordinariamente moderna e a un vero leader, benché le regole vietassero di stringerci la mano. Rajavi era ed è protetta dagli uomini della Resistenza e i suoi familiari sono stati in larga parte assassinati o imprigionati a Teheran. Ma la lotta dei Mujaheddin del Popolo, la sua formazione politica e la più numerosa, da allora ha proseguito una corsa ad ostacoli che ha nell’Occidente democratico europeo il suo avversario più sordo e tenace. È stata combattuta una strenua lotta per far cancellare il nome di questa organizzazione dalla lista di quelle terroristiche, dove molti Stati avevano accettato di relegarla per proteggere i contratti petroliferi con il regime iraniano.

Ora la resistenza iraniana in esilio (un movimento straordinariamente pieno di donne nei posti di comando e che segue strettamente le regole della democrazia interna) è alle prese con la sanguinosa questione del campo di Ashraf. Il primo scandalo è che pochissimi sappiano di che cosa si tratti e perché nessuno ne parli. Il campo di Ashraf, che ospita 3.400 civili appartenenti alle formazioni resistenti dei Mujaheddin del Popolo, si trova in Irak, dove migliaia di esuli iraniani hanno vissuto per decenni, fin dai tempi di Saddam che permetteva loro di sopravvivere entro i confini del suo dominio per esercitare una pressione nei confronti del governo iraniano. La guerra americana non scalfì la posizione dei Mujaheddin, i quali presero il solenne impegno di deporre le armi, non partecipare ad atti di guerra contro la loro madrepatria e osservare tutte le regole della convivenza civile in un Paese occupato militarmente e in preda alle convulsioni di un conflitto politico, religioso e anche etnico.

Ciò che in Europa viene costantemente ignorato è che l’Irak è oggi fortemente influenzato e in parte dominato dall’Iran di Mahmoud Ahmadinejad, che esercita il suo potere attraverso le forze sciite, esattamente come fa in Siria e in Libano attraverso Hezbollah. Il campo, una cittadella desolata e sguarnita sempre in deficit di alimenti, materiali sanitari e sicurezza, si trova a ridosso della frontiera iraniana a relativamente breve distanza da Bakhtaran, avendo alle spalle, ad un centinaio di chilometri, sia la frontiera con la Siria che con la Turchia. Quest’ultima è intervenuta più volte nell’area, considerandola un cortile di casa, e oggi minaccia di moltiplicare i suoi interventi per mantenere sotto controllo la situazione siriana e, attraverso quella, avere voce in capitolo sulla situazione in Libano e indirettamente sul conflitto e sul dialogo israelo-palestinese.

Come si vede, la situazione è complicata e pasticciata, con molti interessi in gioco che producono come effetto collaterale una prudenza ai confini della codardia nelle cancellerie occidentali, perché alzare la voce per difendere gli asserragliati di Ashraf significa dar fastidio all’Iran, all’Irak, alla Siria e - in misura minore ma non del tutto assente - agli americani che esercitano ancora una forte influenza sulle vicende politiche di Baghdad, ma che comunque hanno assunto e mantengono impegni di protezione nei confronti dei Mujaheddin del Popolo, specialmente da quando un energico lavoro di lobbying nel Congresso americano ha consentito di cancellare il nome di questa organizzazione democratica dalla lista nera dei gruppi terroristici.

Gli americani assolvono i loro impegni, ma al tempo stesso vorrebbero liberarsi di questo enorme e imbarazzante fastidio che è il campo di Ashraf.
Lo scorso 8 aprile il campo di Ashraf fu attaccato da forze regolari irachene che con il pretesto di sgomberare e trasferire il campo non esitarono ad investire con i veicoli e in molti casi ad aprire il fuoco sui civili uccidendo 36 persone, fra cui donne e bambini, e ferendone altre centinaia poi rimaste prive di cure e di medicine. Il numero dei morti è così salito, dopo l'attacco e con l’arrivo della stagione calda, a diverse centinaia.

Questa prima mossa aggressiva è stata dunque sanguinosa, inutilmente crudele, ma inefficace perché la resistenza passiva della gente di Ashraf ha permesso di mobilitare l’opinione pubblica internazionale e accendere una fioca luce su quei luoghi, così da bloccare almeno per ora il lancio di un secondo e definitivo attacco iracheno, fortemente richiesto e praticamente imposto dai membri sciiti del governo agli ordini dei mullah di Teheran.

Per far sì che la fioca luce possa illuminare il teatro di questa tragedia si è svolta ieri l’altro a Roma una conferenza alla Camera dei deputati con la partecipazione trasversale di parlamentari appartenenti sia al centrodestra che al centrosinistra, che appoggiano da anni la resistenza iraniana in esilio, sostenendo con la loro solidarietà una lotta. Maryam Rajavi ha ricordato i crudi termini della questione: «L’Iran ha in programma l’annientamento del campo, e lo persegue attraverso il governo iracheno che esegue l’ordine dei padroni». Il prossimo attacco avrà di nuovo le finte sembianze di un trasferimento, ma ciò che si prepara è un massacro prossimo al genocidio regionale, come ha ripetuto la rappresentante di Amnesty International, Irene Khan.

L’Italia ha oggi la possibilità di assumere la leadership politica della reazione a queste minacce di assumere un ruolo primario nella difesa internazionale dei diritti e delle vite dei patrioti iraniani in esilio. Perdere questa occasione, o annacquarla nei mille rivoli delle lentezze diplomatiche sarebbe un errore imperdonabile.

sabato 2 luglio 2011

ISLAM: INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DELLA SBAI (PDL) SU CASO PADOVA =


Nella foto: On. Souad Sbai, deputato del Pdl




Padova, 29 giu. - (Aki) - La deputata del Pdl, Souad Sbai, ha presentato oggi
un'interrogazione parlamentare al ministro dell'Interno, Roberto Maroni, per
chiedere la rimozione di Maher Selmi dal ruolo il mediatore culturale a
Padova per aver giustificato la lapidazione in una dichiarazione resa alla
stampa. "Stamani, come annunciato ieri, ho puntualmente presentato
un'interrogazione al ministro Maroni relativamente alla vicenda del mediatore
culturale di Padova, di cui si chiede la rimozione senza mezzi termini dal
ruolo - si legge in una nota della Sbai - chi si macchia di apologia di reato
non può assolutamente mantenere un ruolo delicato come quello di mediatore
culturale e su questo non si fanno sconti a nessuno".
Secondo la deputata di
origini marocchine, "quando Selmi rilasciava quell'intervista sapeva bene
cosa faceva e non credo avesse una pistola puntata alla testa, quindi ora ne
risponderà in sede giudiziaria. Non ci fermiamo alla denuncia, dunque, ma
andiamo fino in fondo - conclude - perché una volta che questa vicenda sarà
conclusa, dovrà essere da esempio a tutti coloro che pensano, tramite una
tecnica di doppi sensi (chiamata in arabo 'taqiya'), di poter fare di questo
paese la culla per il proprio estremismo e oscurantismo fondamentalista".
(Mhb/AKI)
29-GIU-11 18:00

 
AID : AGENZIA IRAN DEMOCRATICO