martedì 31 maggio 2011

Ashraf, la resistenza iraniana zittita nel sangue


30/05/2011
di Paola D'Orazio
Da alcuni mesi le cronache mediorientali hanno guadagnato le prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo. E in molti – in Occidente e non solo – esultano per il vento di libertà e cambiamento che soffia sul Nord Africa e il Medio Oriente. Ci sono – però – delle storie di resistenza che durano da decenni e non riescono a raggiungere i riflettori.

È questo il caso del Campo di Ashraf, enclave iraniana nel cuore dell’Iraq. Ashraf si trova a 60 Km a nord di Baghdad e dista 120km dal confine iraniano. Protetti da Saddam Hussein, dal 1986 iniziarono ad arrivare nella città i mujaheddin del popolo iraniano, un’associazione di dissidenti decisi a sovvertire il regime della Repubblica Islamica attraverso la lotta armata. I loro nemici giurati erano il fondamentalismo e l’integralismo islamico, incarnati nella figura dello Shah e dei teocratici di Teheran. Ma quelli erano gli anni della Prima Guerra del Golfo; anni segnati da massacri, scontri, violenze che hanno pesato sul futuro di entrambe le nazioni.


L'ingresso ad Ashraf, enclave iraniana nel cuore dell'Iraq
Una vicenda intricata – dunque – quella della resistenza iraniana che ha contribuito a scrivere pagine importanti della storia mondiale. Dal 2003, quando il regime di Saddam è stato rovesciato dagli USA, molte cose sono cambiate anche per i mujaheddin: i residenti di Ashraf hanno buttato via le armi, dichiarando la loro neutralità e ricevendo in cambio la protezione degli americani, divenuti i responsabili della sicurezza del campo.

Ma, come ci racconta Sharzad Sholeh, presidente dell’Associazione Donne Democratiche Iraniane in Italia, nel 2009 il controllo del campo è passato nelle mani delle Autorità irachene e da quel momento sono iniziati attacchi armati “incondizionati” sugli abitanti della cittadina. Fino al 2009 ad Ashraf si respirava aria di pace e serenità: dopo la deposizione delle armi da parte della resistenza, la città era una vera oasi nel deserto con le sue scuole, la sua università, il suo ospedale, la sua moschea. Con la transizione, invece, le 3500 persone che attualmente risiedono ad Ashraf vivono nella paura quotidiana di attacchi da parte dei militari iracheni.

Gli iraniani di Ashraf temevano questo passaggio di poteri, sostenendo che l’attuale governo iracheno fa il gioco di Teheran: l’ayatollah Ali Khamenei (dal 1989 Guida Suprema della Repubblica Islamica) e il presidente Mahmoud Ahmadinejad stanno tentando in tutti i modi di far chiudere il campo e disperdere i dissidenti, da sempre una spina nel fianco del regime. Sharzad, nel suo racconto puntuale ed emozionato, si erge quasi a portavoce dei residenti di Ashraf e ci tiene a rimarcare le difficoltà quotidiane di queste persone costantemente minacciate dall’esercito iracheno, nel quale è molto probabile che si nascondano infiltrati inviati direttamente da Teheran.


Ad un primo attacco del 28-29 luglio del 2010, se ne sono succeduti altri il 26 dicembre 2010 e il 7 gennaio 2011. L’ultimo, uno dei più cruenti, risale a circa due mesi fa, l’8 aprile. In quell’occasione sono morte 35 persone e 120 sono rimaste ferite. Sharzad, che con la sua associazione cerca di dare voce anche a questi avvenimenti, lamenta l’impossibilità per i feriti di ricevere le necessarie cure mediche, con il rischio che il numero dei morti salga vertiginosamente. I residenti del campo sono protetti dalla Quarta Convenzione di Ginevra (che protegge da maltrattamenti e violenza i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato, compresi i membri di forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento) ma di fatto ad essi vengono negati molti dei diritti fondamentali, primo tra tutti quello alle cure mediche.

Sharzad ci tiene inoltre a rimarcare l’importanza di alcune – legittime – richieste avanzate dai residenti di Ashraf (sostenuti anche dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana che ha sede a Parigi) a seguito dell’ultimo attacco inferto dai militari iracheni alla città: il trasferimento immediato dei feriti nella struttura sanitaria americana vicino Ashraf, l’accesso alle cure mediche e alla sepoltura dei morti, vietata ed osteggiata dalle forze irachene, maggiore sicurezza e protezione per ogni membro della comunità.

La comunità Internazionale si sta muovendo – come dimostrano i numerosi appelli e interventi pubblicati anche sul sito dell’Associazione Donne Democratiche Iraniane in Italia – e in molti, dall’Europa agli Stati Uniti, hanno condannato l’azione irachena su Ashraf, arrivando a definirla, come ha recentemente dichiarato l’europarlamentare scozzese Struan Stevenson “una annichilazione in stile Srebrenica dei rifugiati del campo”. (report Struan Stevenson, EP scozzese)

La gravità di quello che è avvenuto – e continua ad avvenire – nei pochi chilometri quadrati della città di Ashraf pare essere uno dei tanti buchi neri della diplomazia mondiale, oltre che un banco di prova per l’Iraq post-Saddam sul tema della garanzia e rispetto dei diritti umani. La resistenza iraniana non è parte della storia come già lo sono i movimenti che hanno dato vita alla primavera araba. Per questo è importante che lo sguardo del mondo si rivolga anche a questa storia dimenticata che ha molto da insegnarci sul rispetto dei diritti umani e della rule of law in un’area del pianeta che da troppo tempo convive con violenza, dolore e paura.

lunedì 30 maggio 2011

Intervista del presidente dell'Associazione donne democratiche iraniane in Italia

M.O., Nirenstein: uno Stato palestinese democratico a fianco di uno Stato ebraico deve essere la priorità della comunità internazionale

Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera

Si è svolto questa mattina alla Camera dei Deputati il convegno organizzato dall’associazione SUMMIT, presieduta dall’On. Fiamma Nirenstein, dal titolo “Medio Oriente: nuovi scenari. L’accordo Fatah-Hamas, la dichiarazione unilaterale dello stato palestinese, la minaccia della terza intifada”, al quale hanno partecipato l’attivista per i diritti umani palestinese Bassam Eid, direttore del Palestinian Human Rights Monitor Group; l’israeliano Dan Diker, segretario generale del World Jewish Congress; l’On. Umberto Ranieri (Pd), già sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri e il Sen. Luigi Compagna (Pdl), componente della Commissione Esteri del Senato. I relatori hanno dato vita a un acceso dibattito, che ha suscitato numerose domande dal pubblico, sul significato e i possibili sviluppi politici dei moti anti-dittatoriali che hanno scosso il Maghreb e la regione mediorientale tutta - dalla Tunisia allo Yemen, passando per l’Egitto fino ai moti anti-Assad della Siria.

In particolare si è discusso del recente accordo di riunificazione siglato al Cairo tra Hamas e Fatah. Su questo punto è emerso generale accordo tra gli intervenuti sul fatto che Hamas, organizzazione terroristica inserita nella lista nera di UE e USA, costituisca l'ostacolo maggiore alla possibilità di pace e mutuo riconoscimento tra palestinesi e israeliani, alla luce del suo rifiuto di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele. Bassem Eid ha evidenziato le colpe della leadership palestinese, sia in Cisgiordania sia a Gaza, dove Hamas nonostante l’occasione avuta dopo il disimpegno israeliano del 2005, non ha trovato di meglio da fare che lanciare missili sulla popolazione civile israeliana, suscitando così la dura reazione dell’esercito nel 2009. Eid ha spiegato anche come la società civile palestinese abbia interiorizzato la convivenza accanto allo Stato israeliano molto più di quanto la propria leadership non voglia far credere nei negoziati e ha sottolineato come la questione cruciale sulla quale dovrebbe concentrarsi la comunità internazionale sia la natura del futuro Stato palestinese: una democrazia o una dittatura? Secondo l’attivista palestinese, che da anni denuncia le violazioni dei diritti umani nei Territori Palestinesi, la prospettiva attuale è quella dell’avallo di una nuova, ennesima dittatura in Medio Oriente. “Non abbiamo bisogno di un altro Gheddafi” ha concluso Eid.

Intervenendo a chiusura del convegno, l’On. Nirenstein ha affermato che la premessa a un vero rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi è che “Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, agisca come il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, quando, agli inizi del suo mandato, all’università di Bar Ilan, si è detto pubblicamente pronto al riconoscimento di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano. Abbas deve fare la stessa cosa: andare di fronte al suo popolo e dire che si impegna a riconoscere l’esistenza di uno Stato degli ebrei che viva in pace accanto allo Stato dei palestinesi. Solo allora si potranno realizzare le condizioni per un vero rilancio del processo di pace israelo-palestinese”.

A questo link è possibile vedere la registrazione del convegno: http://www.radioradicale.it/scheda/328521

Roma, 30 maggio 2011
AVVISO: Questo messa

venerdì 27 maggio 2011

Iran: uso disumano dei bambini nelle esecuzioni pubbliche


Ghazvin, vicino a Teheran, 25.05.2011
Nella foto dell'esecuzione pubblica si nota bene un ragazzino che toglie la sedia su cui regge il condannato a morte.

domenica 15 maggio 2011

Iran-Siria: scomparsa nel nulla reporter Al Jazira

MondoPercorso:ANSA.it
Secondo Damasco espulsa a Teheran, che dice non sapere nulla
14 maggio, 19:01

TEHERAN- Sembra essere scomparsa nel nulla Dorothy Parvaz, la giornalista americana-canadese-iraniana di Al Jazira di cui non si hanno piu' notizie dal 29 aprile, quando arrivo' a Damasco per coprire gli sviluppi delle proteste in Siria. Dopo che la Siria ha detto di averla espulsa verso l'Iran, oggi Teheran ha replicato di non avere ''nessuna informazione'' su di lei. La vicenda si fa dunque sempre piu' complicata e preoccupante per la famiglia, gli amici e i colleghi della donna, che da oltre due settimane non riescono ad avere notizie sulla sua sorte.

Singolare, inoltre, appare il contrasto tra le versioni fornite dalle autorita' di Siria e di Iran, due Paesi che da 30 anni sono uniti in un 'asse di ferro' anti-israeliano nella regione. Da quando in Siria sono cominciate le manifestazioni contro il regime del presidente Bashar al Assad, Teheran le ha denunciate come il frutto di una ''cospirazione'' proprio di Israele e degli Usa. Era stata Al Jazira, il 2 maggio scorso, a denunciare la scomparsa di Dorothy Parvaz, 39 anni, affermando di non avere avuto piu' notizie di lei da quando era sbarcata all'aeroporto di Damasco proveniente da Doha con un volo della Qatar Airways. Soltanto l'11 maggio l'ambasciata siriana a Washington ha fatto sapere che la giornalista aveva cercato di entrare nel Paese ''illegalmente'' con un visto turistico - anziche' giornalistico - e con un passaporto iraniano scaduto. Per questi motivi il primo maggio era stata espulsa verso l'Iran ''secondo quanto stabilito dalla normativa internazionale'' poiche' la Repubblica islamica era ''il Paese che aveva emesso il passaporto''.

Secondo la stessa nota, la giornalista era stata ''scortata dal console iraniano al volo 7905 della Caspian Airlines diretto a Teheran''. Ma oggi una dichiarazione del ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, e' scesa come una doccia fredda sulle speranze di chi si aspettava una soluzione della vicenda. Teheran non ha ''nessuna informazione'', ha affermato il capo della diplomazia iraniana, citato dall'agenzia ufficiale Irna. Nata a Teheran da padre iraniano e madre statunitense nel 1971, Dorothy Parvaz ha lasciato l'Iran quando aveva 10 anni e da allora ha vissuto a Dubai, in Canada e negli Usa. In Giappone ha coperto per Al Jazira il terremoto e lo tsunami del marzo scorso. Per la sua liberazione si sono mobilitati tra gli altri Amnesty International, Reporter senza Frontiere e il Dipartimento di Stato americano.

NUOVA ONDATA DI ESECUZIONI

Teheran, 14 mag. - (Adnkronos/Aki) - Nuova ondata di condanne a morte eseguite nella Repubblica Islamica. Secondo i media iraniani, sette uomini sono stati impiccati per traffico di droga nei penitenziari di Kerman, nel sud, Qazvin, ad ovest e Tonekabon, nel nord. Altre quattro persone accusate di stupro sono salite sul patibolo a Yazd, nell'Iran centrale, tre delle quali sono state giustiziate in pubblico.

venerdì 13 maggio 2011

Non c'è solo la Libia, anche Baghdad va a fuoco

di Daniel Pipes
Liberal
12 maggio 2011

http://it.danielpipes.org/9799/baghdad-va-a-fuoco

Iraq - A Province of Iran?


Dopo che le forze americane lasceranno l'Iraq alla fine del 2011, Teheran cercherà di trasformare il suo vicino in una satrapia (cioè una provincia, uno stato satellite) a grande svantaggio degli interessi occidentali, arabi moderati ed israeliani. L'Iran sta lavorando con grande solerzia per raggiungere questo obiettivo, sia appoggiando le milizie irachene sia inviando le proprie truppe nelle zone di confine. Baghdad reagisce con debolezza a questo progetto, con il suo capo di Stato Maggiore che propone un patto regionale con l'Iran e i politici di spicco che ordinano attacchi contro il Mujahedeen-e-Khalq (Mek), un'organizzazione di dissidenti iraniani con 3.400 membri residenti a Camp Ashraf, a 60 miglia a nordest di Baghdad. La questione del Mek è l'emblema della sottomissione irachena all'Iran. Anche alla luce di alcuni sviluppi recenti.


Ancora un video trasmesso da Fox News in cui le forze militari irachene attaccano Camp Ashraf.

Il 7 aprile scorso il Mek ha reso pubbliche delle informazioni riguardo la crescente capacità iraniana di arricchire l'uranio, una rivelazione che il ministro degli Esteri iraniano ha rapidamente confermato.
L'8 aprile, proprio mentre il segretario alla Difesa Usa Robert Gates visitava l'Iraq, le forze armate del paese hanno attaccato Ashraf. Le sequenze trasmesse da Fox News e dalla CNN mostrano gli iracheni negli Humvees, i veicoli blindati per il trasporto truppe forniti dagli Usa, e i bulldozer che travolgono i residenti disarmati, mentre i cecchini sparano contro di loro, uccidendo 34 persone e ferendone 325. L'ordine del piano d'attacco top secret dell'esercito iracheno "l'Iraqi Security Forces Operation Order No. 21, Year 2011", rivela come Baghdad consideri i residenti di Ashraf come «il nemico», evidenziando una collusione tra Baghdad e Teheran.

Questo episodio ha avuto luogo malgrado le recenti promesse di Baghdad di trattare umanamente i dissidenti iraniani e di proteggerli. Il presidente della Commissione per le Relazioni estere del Senato Usa John Kerry ha giustamente descritto l'attacco come un «massacro», mentre l'ex-governatore Howard Dean ha definito il premier iracheno un «assassino di massa». L'Alto Commissario Onu per i diritti umani «ha condannato» l'attacco e la Missione Onu di Assistenza all'Iraq (Unami) ha espresso una «profonda preoccupazione».


Il premier iracheno Nouri al-Maliki e il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.

L'11 aprile, il consigliere per gli affari militari del Leader supremo iraniano Ali Khamenei (secondo un comunicato stampa) «ha elogiato l'esercito iracheno per il suo recente attacco alle roccaforti [del Mek] e ha chiesto a Baghdad di continuare ad attaccare la base terroristica fino a distruggerla».
Il 24 aprile, malgrado l'insistenza delle Nazioni Unite che «i residenti di Camp Ashraf fossero protetti dalla deportazione forzata, dall'espulsione o dal rimpatrio», Baghdad e Teheran hanno siglato un accordo di estradizione che i media di stato iraniani interpretano come un meccanismo per trasferire forzatamente i membri del Mek in Iran, dove li aspetta un destino terribile.

I maltrattamenti iracheni dei dissidenti iraniani non solo sollevano delle preoccupazioni umanitarie, ma mettono anche in evidenza una maggiore importanza del Mek come meccanismo volto a contrastare l'obiettivo americano di minimizzare l'influenza di Teheran in Iraq.

Detto questo, Washington – che nel 2004 ha concesso lo status quo di "persone protette" ai residenti di Ashraf in cambio della loro resa – ha una parziale responsabilità per gli attacchi contro Ashraf; nel 1997, ha dato un contentino a Teheran e, contrariamente alla realtà e alla legge, ha ingiustamente annoverato (e continua a farlo) il Mek nella lista delle Organizzazioni terroristiche straniere. "Un'etichetta" che Baghdad sfrutta a suo vantaggio. Ad esempio, il deputato Usa Brad Sherman (democratico della California) asserisce che «in occasione di discussioni private, l'ufficio dell'ambasciatore iracheno ha detto che le mani del governo iracheno non sono imbrattate di sangue, ma almeno in parte lo sono quelle del Dipartimento di Stato perché il Mek compare nella lista dei gruppi terroristici, e pertanto, l'Iraq non ritiene di dover rispettare i diritti umani di coloro presenti nel campo». La designazione terroristica offre altresì a Baghdad un pretesto per espellere i residenti di Ashraf e possibilmente estradarli in Iran.


L'Unami è stata istituita nel 2003 ed è diretta dal.

In questo momento di crisi, come rispondere all'appello del senatore Kerry lanciato a «tutte le parti interessate (…) per cercare una soluzione pacifica e durevole?» Qui di seguito tre raccomandazioni: 1) Al governo Usa. Eliminare il Mek dalla lista delle organizzazioni terroristiche, in seguito alla volontà di una larga maggioranza bipartisan in seno al Congresso, dell'ex-consigliere per la sicurezza nazionale di Barack Obama e di eminenti repubblicani. 2) All'Unione europea. Imporre delle sanzioni economiche all'Iraq, se Baghdad continuerà a bloccare una delegazione di parlamentari dell'Ue che desidera visitare Ashraf (non dimentichiamoci che l'Ue è il secondo partner commerciale dell'Iraq). 3) Alle Nazioni Unite. Insediare ad Ashraf una delegazione dell'Unami, sorvegliata da una piccola forza Usa, per impedire futuri attacchi iracheni e soddisfare la richiesta dell'Alto Commissario Onu per i diritti umani di avviare «un'inchiesta completa, indipendente e trasparente» sull'attacco ad Ashraf in modo che «qualsiasi persona responsabile di un uso eccessivo della forza» venga perseguita. Perché è arrivato il momento di agire con urgenza a Camp Ashraf, apripista di una crescente influenza iraniana sull'Iraq, prima che Teheran trasformi l'Iraq in una satrapia.

domenica 8 maggio 2011

I miei migliori auguri per la festa della mamma!

una marea di baci a tutte le mamme, compresa mia, a cavallo di una nuvola coloratissima di farfalle e di libellule Che cantano in coro" sei bellissima"!

giovedì 5 maggio 2011

LA CONFERENZA DEL GRUPPO DEL CONTATTO A ROMA


Oggi, ancora una volta la capitale del bel paese è stata la vera protagonista della primavera araba e in particolare del paese vicino Libia. L'Italia è riuscito a riunire attorno ad un tavolo molti protagonisti stranieri europei e americani per trovare una via più giusta e più breve e meno dolorosa per il popolo libico. Per quanto riguarda la sola idea di organizzare un evento del genere bisogna riconoscere al governo italiano e in particolare al ministro degli esteri Franco Frattini il merito e la tempestività di azione che in questi tempi sono della merce rara. Basti guardare gli avvenimenti iraniani post-elettorali del giugno 2009 e rendersi conto dell'utilità e dell'indispensabilità di un intervento politico-militare senza il quale il dittatore libico avrebbe sterminato e cancellato dal territorio ogni segno di opposizione e del dissenso. Se nel giugno del 2009, quando scesero in piazza milioni di iraniani per gridare e chiedere la libertà e la democrazia, la comunità internazionale si sarebbe comportato come oggi, il scenario di oggi nel medioriente sarebbe stato sicuramente molto diverso da quello che appare oggi.
A nome dell'Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia desidero congratularmi con Italia e con il suo ministro degli esteri Franco Frattini per tutto quello che ha potuto fare nel raccogliere il consenso internazionale attorno ad un unico obbiettivo: liberare il popolo libico dagli artigli di un regime barbaro, dittatoriale e disumano. E' doveroso e civile soccorrere coloro che sono sottoposti alle barbarie dei regimi dittatoriali. Lo consente la legge internazionale e lo consente piuttosto la libera coscienza di coloro che hanno una certa responsabilità nella scacchiera internazionale.
Grazie Italia!
Davood Karimi, presidente dell'Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia

mercoledì 4 maggio 2011

Siria, Nirenstein: bene azione governo, ma necessaria più coesione a livello internazionale

Rispondendo oggi in Commissione Esteri all’interrogazione sulla repressione in corso in Siria presentata dal Vicepresidente della Commissione, On. Fiamma Nirenstein, il Sottosegretario agli Esteri, On. Enzo Scotti, ha ricordato “l'uccisione di 500 oppositori nei tragici eventi delle ultime settimane in Siria” e ha denunciato l'incapacità e la mancanza di volontà del governo siriano di abbandonare la logica della repressione e di intraprendere la via delle riforme.
“La situazione in Siria sta diventando sempre più insostenibile” ha affermato il Sottosegretario Scotti, che ha parlato di specifiche misure concordate dall'Italia insieme ai partner europei, come l'embargo sulla vendita delle armi e mirate misure restrittive.
L'On. Nirenstein ha risposto che, mentre si ritiene soddisfatta del sentimento di forte condanna del governo italiano, lamenta il fatto che nella comunità internazionale permanga nei confronti della Siria un atteggiamento ancora aperto ad attribuirle ipotetiche capacità di mediazione, mentre quel regime si caratterizza per il sostegno ad organizzazioni terroristiche quali Hamas e Hezbollah e per una spietata violenza. La strage in corso in Siria è uno scandalo mondiale e un'offesa a qualsiasi persona di buona volontà.
Ricordando come la Siria sia un pernio decisivo per la strategia egemonica regionale dell'Iran, l’On. Nirenstein auspica la necessità che l'intero consesso internazionale, al contrario di quello che ha fatto il Consiglio di Sicurezza ONU recentemente, applichi severe misure nei confronti della Siria, anche tenendo conto dell'atteggiamento tenuto con la Libia. L'Italia deve guidare inoltre l'assoluta opposizione all’ingresso della Siria nel Consiglio per i diritti umani dell'ONU, posizione per la quale è candidata proprio in questi giorni e che verrà votata il 20 maggio.

Roma, 4 maggio 2011

lunedì 2 maggio 2011

Intervento di Patrik Kennedy alla conferenza di Parigi

Intervento del premio Nobel per la pace Elie Wiesel alla conferenza di Parigi

IL VIDEO DELL'ANNUNCIO DELLA MORTE DI BIN LADEN DA PARTE DEL PRESIDENTE OBAMA

E' STATO UCCISO BIN LADEN, BRACCIO OPERATIVO DEL TERRORISMO STATALE IRANIANO


UN BREVE VIDEO SULL'ATTACCO DELLE FORZE ARMATE IRACHENE AL CAMPO DI ASHRAF


la notizia della morte del braccio operativo del terrorismo iraniano non mi ha preso di sorpreso ma mi ha riempito di gioia. grazie a questa operazione dei soldati americani è stata amputata una mano al regime fondamentalista e terroristico dell'Ayatolterrore Ali Khamenei.
Secondo le informazioni in mio possesso, dopo la caduta del regime dei Taliban, il regime iraniano ha preso immediati contatti con lo stesso Bin Laden offrendogli la protezione sul territorio iraniano che è stato accettato da Bin Laden in cambio di una forte collaborazione in campo militare e informativo contro le forze armate stranieri dislocati in medioriente e in particolar modo in Iraq e in Afghanistan. La collaborazione è andata avanti fino a ieri. ma la cosa strana secondo me è la coincidenza di questa operazione con il feroce attacco delle forze armate irachene al campo di Ashraf avvenuto 8 aprile4 scorso dove morirono almeno 35 persone e rimasero ferite 350 combattenti della resistenza iraniana. Secondo le mie informazioni, poche ore prima dell'attacco delle forze armate irachene al campo di Ashraf, i militari americani presenti sul luogo hanno abbandonato le loro postazioni lasciando libero il terreno alle forze irachene che hanno sferrato un attacco militare coi carri armati contro i residenti disarmati del campo che durò almeno 6 ore.
Spero di sbagliarmi ma se cosi fosse sarebbe un grave errore da parte degli americani di aver accettato un tale compromesso disumano e criminale: sterminare i componenti della resistenza iraniana in cambio dell'uccisione di Bin Laden. Nel mondo di oggi, quest'ultimo è molto diffuso come mano d'pera del terrorismo iraniano. La questione fondamentale è quella di sradicare il terrorismo che ha la sua fonte spirituale e nutritiva in Iran ma di non potare il suo albero che ha le sue profonde radici nella casa dell'Ayattolterrore Ali Khamenei. Si sa che l'albero potato diventerà sempre piu forte ma l'albero sradicato si seccherà in pochi giorni.
I miei migliori auguri al presidente di colore americano Barak Hossein Obama.

 
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