«L’Iran è un carcere a cielo aperto: abbattiamolo»
Intervista con Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della resistenza iraniana in visita a Roma
di Gaia Cesare
Da anni si batte per un Iran democratico, libero dal giogo della dittatura teocratica. Maryam Rajavi, presidente del Consiglio nazionale della Resistenza iraniana, è stata nei giorni scorsi in Italia «per chiedere aiuto per i residenti di Campo Ashraf contro il regime di Teheran che vuole massacrarli».
Che significa essere una dissidente in un campo come quello di Ashraf?
«Significa continuare a battersi per i valori democratici. Cercare di liberare gli iraniani dalla miseria che è vivere in una prigione a cielo aperto come l’Iran. Mettere a rischio le proprie vite per combattere contro la dittatura religiosa».
Vite a rischio come è successo nel blitz dell’8 aprile, in cui sono morti 36 residenti del campo. Ma questa volta per mano delle forze irachene.
«Sì, e dietro quell’attacco messo a segno dalle forze irachene c’è la mano del regime iraniano, il segno della sua influenza su Baghdad».
Ma perché in Iran non ha attecchito la primavera esplosa negli altri Paesi arabi?
«L’insoddisfazione è pronta a esplodere nella società iraniana. Ma la repressione è troppo forte. Non è un caso che l’Iran sia il Paese col più alto numero di esecuzioni al mondo. In confronto le dittature di Gheddafi in Libia e di Assad in Siria sono pallidi regimi. Pensate che sono almeno 70 in Iran le istituzioni statali incaricate della repressione e della sicurezza».
E la rivoluzione che corre on line?
«Sono almeno 12 le istituzioni incaricate di monitorare Internet e che filtrano le e-mail e i siti web. Gran parte dei giovani della rivolta del 2009 sono stati arrestati grazie al controllo degli account di posta elettronica».
Che genere di aiuto vi aspettate?
«Vorremmo che l’Occidente non si voltasse dall’altra parte quando si tratta di difendere chi abita a Campo Ashraf. E invece l’influenza dei mullah iraniani sull’Irak cresce sempre di più».
Eppure anche voi siete un movimento islamico. Riuscite a immaginare un Paese che non sia governato dall’islam?
«Vogliamo una repubblica basata sulla separazione tra stato e chiesa. La nostra visione dell’islam è di tolleranza e pace».
Gli iracheni vogliono chiudere il campo entro la fine dell’anno. Perché questa mossa non va fatta?
«Perché è quello che vogliono i mullah, che l’opposizione venga eliminata. E cercano di farlo anche grazie alla loro influenza sull’Irak. Nonostante ciò siamo pronti ad accettare la decisione del Parlamento europeo e a trasferirci in Paesi terzi purché riceviamo protezione».