Il Giornale.it:«Ma quel cronista è una spia» Ecco tutte le carte dell’inchiesta
Nota di Davood Karimi: ultimamente ho avuto un incontro con un uomo politico italiano, appartenente all'opposizione al governo del presidente Berlusconi, che fin dall'inizio del suo discorso, ha fortemente speso le sue difese a favore del regime terrorista di Ahmadinejad accusandomi addirittura di essere al servizio degli americani e degli israeliani. Gli ho fatto i miei migliori complimenti per avere delle fonti all'interno dell'intelligence del regime di Ahmadinejad. Credo che la personalità politica di cui si parla in questo servizio abbia a che fare con questo uomo di cui il nome rimane per il momento segreto.
di Luca Fazzo
ilGiornale.it
Milano
Chi è davvero Nejad Masoumi? Un giornalista serio e scrupoloso, come raccontano i suoi colleghi della stampa estera a Roma? Un cronista coraggioso, che sta pagando col carcere le sue inchieste sull’Italia di Berlusconi, come afferma il governo di Teheran, indignato per il suo arresto? O una spia al servizio del Mois, il servizio segreto di Ahmadinejad, inviato in Italia per influenzare l’opinione pubblica e trafficare in armi, come sostengono i nostri servizi segreti e la Procura di Milano?
A tre giorni dalla retata che ha spedito in carcere Masoumi, corrispondente dall’Italia della Islamic Republic Iran Broadcasting, un suo connazionale e cinque italiani, una risposta a queste domande arriva dalle pagine dell’ordinanza di custodia notificata agli indagati dalla Guardia di finanza di Milano. E quel che ne esce è il ritratto di un personaggio lontano dai consueti comportamenti di un giornalista. «Il Pm ha sottolineato come costui, iraniano da anni residente a Roma, con ogni probabilità rivesta un ruolo di rilievo nei servizi segreti del proprio Paese (...) Masoumi infatti svolge ufficialmente la professione di giornalista della radio tv iraniana, ancorché nella dichiarazione dei redditi 2005, ultima presentata, avesse indicato quale proprio datore di lavoro la compagnia aerea Iran Air (..) egli utilizza poi una utenza fissa romana intestata al ministero delle Comunicazioni e risulta coniugato con una impiegata dell’ambasciata iraniana; al numero telefonico dell’Ambasciata, peraltro, egli si rivolge frequentemente, avanzando però richieste e proposte ad un funzionario di sesso maschile presso cui pare avere molto credito. Dalle intercettazioni effettuate gli inquirenti hanno notato come il Masoumi riferisca a costui in merito a notizie acquisite nel corso della propria attività anche da altri giornalisti, e, in particolare, relativamente al sostegno goduto in Italia dalla rete antagonista iraniana nota come «Onda Verde» sorta dopo le ultime elezioni nel Paese mediorientale. Sono state infatti captate conversazioni dal tenore assai equivoco con diversi giornalisti italiani che a vario titolo si erano interessati della questione e che paiono aver ceduto alle sue richieste di ammorbidimento delle notizie in cambio dei canali privilegiati nell’ottenimento di visti per l’ingresso in Iran».
Ce ne sarebbe già abbastanza, come si vede, per inquadrare il garbato e baffuto reporter più come un emissario governativo che come un giornalista in senso stretto. Ma poi c’è il resto, che è il capitolo più inquietante: l’intervento diretto di Masoumi per organizzare l’importazione in Iran, in violazione dell’embargo disposto dalla Comunità europea, di nove elicotteri. Alle 13.31 dello scorso 24 ottobre il giornalista viene intercettato mentre telefona all’avvocato torinese Raffaele Rossi Patriarca. In realtà, se Masoumi è un giornalista che non fa il giornalista, anche Rossi Patriarca è un avvocato che non fa l’avvocato. La sua specializzazione è il commercio di aerei ed elicotteri. Ed è a lui che Masoumi si rivolge per la commessa. Anche l’avvocato torinese è stato arrestato. Interrogato, ha ammesso la vendita degli elicotteri a Teheran, e ha detto che ad organizzare il suo viaggio in Iran fu proprio il giornalista. Rossi Patriarca ha sostenuto che non si trattava di apparecchi da guerra ma di elicotteri in «versione vip». Ma la sua versione è, secondo la Procura, smentita dai fatti. E anche dalle cautele che l’avvocato e il giornalista prendono per aggirare l’embargo: «Ti ho mandato un’altra mail, è la descrizione e alcune foto di una società italiana perfetta per poter fare tutta una serie di operazioni molto importanti su aerei, elicotteri, parti di ricambio», dice Rossi Patriarca a Masoumi.
Procurare al regime di Teheran tecnologia bellica aggirando le sanzioni, d’altronde, sembra la occupazione principale dell’organizzazione. Dalla loro parte, gli inquirenti hanno le ammissioni di Andrew Faulkner, un ex militare inglese, catturato a Londra con cento puntatori. E anche intercettazioni in cui si parla in modo piuttosto esplicito delle coperture che le attività della banda avrebbero in Italia grazie a un politico a libro paga. Ne parla uno degli arrestati, Alessandro Bon, conversando con il personaggio che da Teheran tira le fila di tutto l’import parallelo: Bakhtiyari Homayoun, che «in molte conversazioni viene indicato come agente dei servizi segreti del governo iraniano e in tale veste effettua gli acquisti per conto del governo iraniano». Il 22 agosto scorso, Bon parla al telefono con Bakhtiyari che è a Teheran: «Ogni sei mesi lui deve pagare un politico in Italia e non lo ha ancora pagato... e io ho bisogno dell’appoggio di questo politico, per cui manda i soldi a me così metto da parte il denaro per il politico e poi gli trasferisco i soldi di cui ha bisogno».
Nelle conversazioni con Bakhtiyari, Alessandro Bon si offre anche di procacciare materiale ad alta tecnologia per attività di spionaggio. Ma poi, quando si attiva per acquisire sul mercato internazionale l’attrezzatura, si presenta come emissario dei nostri servizi segreti e di una non meglio precisata «unità antiterrorismo». Anche se da Taiwan qualcuno subodora il trucco: «Può assicurarmi - gli scrive Maria Miao della Lawmate Technology - che questo ordine andrà alle unità antiterrorismo della polizia italiana? Abbiamo ricevuto un ordine identico dal nostro distributore unico in Iran per le forniture governative». Bon le risponde senza tentennamenti: «Cara Maria, non ho veramente idea di cosa stia facendo l’Iran perché questa nazione è sottoposta ad embargo da parte della nostra nazione, la nostra società lavora unicamente con la polizia italiana e con le Forze armate».
Microspie ed elicotteri, puntatori e spolette, sostanze chimiche e giubbotti da immersione. È un supermercato della tecnologia bellica, quello che passa per le mani dell’organizzazione. Faulkner, l’inglese arrestato per i puntatori, ammette anche una fornitura di caschi per elicotteristi militari: «Questi dichiara che le richieste di caschi riguardavano proprio materiale destinato a velivoli militari per l’Iran, sempre attraverso il sistema di triangolazione (comprendente la sosta alla prima apparente destinazione di Dubai). Lo stesso Faulkner dichiarava di essersi rivolto a Bon anche per reperire dei lanciagranate da vendere ai suoi clienti pakistani».
Ecco, questo è un sintetico quadro delle accuse. Resta una domanda: cosa dirà, adesso, l’ambasciatore iraniano a Roma?