Iran: il pianista in esilio, sogno un concerto in una Teheran libera
Ramin Bahrami, noto pianista iraniano e figlio di un detenuto politico impiccato nel famigerato carcere di Evin a Teheran
(Aki) - "Sogno un giorno di poter suonare Bach a Teheran con l'orchestra Gewandhaus, in un Iran pieno di libertà, tolleranza e armonia. Un paese dove i giovani abbiano la libertà di tenersi per mano in strada e abbracciarsi senza che una guardia islamica li porti in galera solo per questo". Parola del celebre pianista iraniano, Ramin Bahrami, uno dei più acclamati interpreti mondiali di Johann Sebastian Bach, in questi giorni in Italia per il festival internazionale di musica da camera 'Cambi di Stagione', rassegna organizzata dalla fondazione 'Bottari Lattes' che si apre venerdì a Monforte d'Alba (Cn).
Nato a Teheran nord, dopo la Rivoluzione Islamica Bahrami ha trovato rifugio prima in Italia, dove ha vissuto per 15 anni e si è formato dal punto di vista musicale, e poi in Germania. La critica tedesca parla di lui come di "un mago del suono, un poeta della tastiera, un artista straordinario che ha il coraggio di affrontare Bach su una via veramente personale". Ma oggi il pianista, che manca dall'Iran da 22 anni, mette per un attimo da parte la sua grande passione, la musica, e commenta con AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL la situazione nel suo paese, senza nascondere l'amarezza perché, spiega, "in Iran c'è gente che muore solo perché respira".
"Un paese come la Persia - afferma Bahrami - Che è stato sin dagli albori la culla della civiltà umana e che ha dato i natali a Zarathustra e Avicenna non può vivere in una situazione di disagio e repressione. Lo stesso Bach - prosegue il musicista - ci insegna che le cose più diverse tra loro possono portare a un disegno perfetto, ma questo nel nostro paese non esiste", anzi precisa, l'Iran in questo momento sta attraversando "uno dei momenti più tristi" della sua storia.
Secondo il pianista, che si definisce "apolitico", l'Occidente ha una grande responsabilità per quello che sta succedendo nella Repubblica Islamica, dove dopo le contestate elezioni presidenziali del giugno 2009 si è creato un movimento d'opposizione determinato a sovvertire il governo, ma che è stato puntualmente represso dalle forze di sicurezza ogni qual volta ha mostrato pubblicamente il suo dissenso.
"La gente in Iran è assetata di libertà, di aria", spiega Bahrami che dice di "credere nella politica della musica e non in quella in senso stretto perché i politici oggi non fanno gli interessi del popolo, ma solo i loro e questo accade in Iran come nei paesi occidentali".
Il pianista commenta quindi la stretta del governo iraniano contro alcuni musicisti e registi cinematografici 'non allineati', primo tra tutti il noto cineasta Jafar Panahi, ora agli arresti domiciliari dopo essere stato rinchiuso diversi mesi nel carcere di Evin per aver provato a girare un film sulle manifestazioni antigovernative a Teheran. "Credo che ogni forma di censura sia un atto di inciviltà, non si pò tenere in gabbia il pensiero - sottolinea Bahrami - Se Bach avesse subito la censura non avrebbe creato nulla. L'arte - prosegue - ha bisogno di libertà, il fatto che Panahi sia agli arresti domiciliari è vergognoso, significa che si sta cercando di tappare la voce di un popolo che ha molto da dire".
I toni del musicista iraniano cambiano sensibilmente quando torna a parlare di musica, l'arte a cui ha dedicato la sua vita, e del disco in uscita il 22 marzo 'Johann Sebastian Bach: Piano concertos' (Decca Universal), realizzato con la Gewandhausorchester di Lipsia, diretta da Riccardo Chailly.
"Mi ispiro a Bach perché credo che egli sia stato il più grande creatore di bellezza e armonia della storia della musica, in questo senso provo un senso di venerazione verso questo sommo maestro di forma", spiega Bahrami. "In questo disco abbiamo toccato il capitolo di concerti di Bach, nel nostro caso 'concerto' inteso come dialogo e condivisione di valori artistici sublimi", aggiunge il pianista che spiega l'approccio che ha verso il grande compositore tedesco. "Anche se bisogna rispettare la tradizione interpretativa di Bach - spiega - Non si può dimenticare che egli era un uomo libero, e quindi tradizione sì, ma non dogmatica".
Dal punto di vista strettamente musicale, Bahrami rivela di "aver optato per strumenti moderni", in particolare il pianoforte che "è lo strumento più in grado di esprimere sentimenti. Ed è stato bello - aggiunge - vedere come l'orchestra non abbia svolto solo il ruolo di accompagnamento, anzi si ha quasi l'impressione a tratti di ascoltare strumenti a fiato, anche se è composta solo da archi". In questo disco, conclude Bahrami, "c'è gioia e libertà. Questi concerti non hanno tempo né luogo, sono musica che si rigenera ascolto dopo ascolto - conclude - Vorrei dedicarlo ai popoli che sono in difficoltà. Che Bach li assista".