"Israele di fronte alle rivoluzioni del mondo musulmano: speranza o pericolo?"
Che cosa accadrà a Israele, che si trova geograficamente in mezzo allo straordinario movimento rivoluzionario che investe il Nord Africa e il Medioriente? E' un'occasione o un rischio per l'unica democrazia dell'area? Quali sono le possibili ripercussioni sul conflitto israelo-palestinese e chi saranno i nuovi interlocutori di Europa e America a fronte dei nuovi assetti geopolitici?
Sono questi i principali interrogativi al centro del convegno "Israele di fronte alla rivoluzione dei paesi musulmani: speranza o pericolo", promosso dall'associazione SUMMIT, presieduta da Fiamma Nirenstein, che si è svolto lunedì mattina alla Sala delle Conferenze della Camera dei Deputati. Oltre 200 persone hanno assistito a quattro ore di conferenza, suddivisa in 3 sessioni.
Fra speranza e preoccupazione, con un’Europa spaccata in due di fronte alla guerra e all’emergenza umanitaria in Libia, numerosi analisti e politici, italiani e internazionali, si sono confrontati per cercare di dare delle risposte a queste domande cruciali.
Intervenendo nel primo panel, "Un futuro di pace o una prospettiva di guerra", il Sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto ha evidenziato come, per una volta, lo Stato ebraico non sia considerato l'epicentro di quanto sta accadendo in Medioriente e come il nuovo panorama che si sta delineando nella sponda meridionale del Mediterraneo sia l’emblema della cecità di un Occidente che, finora, non ha saputo inquadrare quanto stava accadendo. Nello stesso panel sono intervenuti anche Robin Shepherd, direttore degli Affari Internazionali del think tank londinese Henry Jackson Society, che ha parlato dell’ossessione della comunità internazionale per Israele (argomento anche di un suo noto libro “A state beyond the pale: Europe's problem with Israel”), un'ossessione che ne ha distorto la lucidità di analisi sulle dinamiche mediorientali, in particolare tra le elite europee; il giornalista Carlo Panella, che ha evidenziato i problemi della cattiva gestione della situazione da parte dell’amministrazione Obama, che, con il suo celebre discorso al mondo musulmano tenuto al Cairo nel 2009, ha impostato la sua politica estera, rivelatasi infatti fallimentare, più su un wishful thinking che su una disamina reale dei fatti; infine il sociologo di origine algerina Khaled Fouad Allam, secondo cui stiamo assistendo a un cambiamento epocale, alla “fine di un ciclo” della storia del mondo arabo. Allam sostiene che c’è una domanda di democrazia nel mondo arabo, ma non come la intendiamo noi in Occidente. Secondo la sua analisi, nei prossimi sei mesi si assisterà alla normalizzazione dei partiti musulmani: si sta creando un connubio tra i partiti religiosi e vecchia guardia o forze militari, secondo l’esempio della Turchia: lo si vede in Tunisia, e in Egitto, con il rientro dall’esilio di Ghannouchi e Al Qaradawi, e anche in Yemen, dove i Fratelli Mussulmani si stanno facendo spazio. “Capisco Netanyahu che rimpiange Mubarak, perché era la sua interfaccia con il mondo arabo”, ha detto Allam, "ora non c'è più una certezza e i prossimi 10-20 anni saranno molto duri per tutti perché bisognerà fronteggiare il radicalismo islamico".
Nel secono panel, “I riflessi sul conflitto israelo-palestinese”, il moderatore, il giornalista del Sole 24 Ore Stefano Folli, ha subito evidenziato come “Israele non è protagonista, ma spettatore attento” della situazione che sta sconvolgendo il mondo arabo. Secondo Pinhas Inbari, storico corrispondente della radio israeliana per le questioni palestinesi e analista per il World Jewish Congress e per il Jerusalem Center for Pubblic Affairs, i nuovi assetti in Medioriente mettono in seria crisi la leadership di Abu Mazen e in generale il ruolo di Fatah all'interno dell'Autorità Nazionale Palestinese. Fatah, l’Olp, sono da annoverarsi tra gli ancien régime che stanno cadendo uno dopo l’altro e questo potrebbe essere anche il loro destino. In questa situazione a guadagnarne sarebbe solo Hamas, in particolare se nel nuovo Egitto i Fratelli Mussulmani avranno una posizione di rilievo. Se, come pare accadrà, verrà aperto il valico di Rafah, che separa Gaza dall'Egitto, si potrebbe assistere a una deriva islamico-radicale che potrebbe portare Hamas e la Fratellanza a unirsi per creare un Califfato regionale.
Posizioni condivise da Mario Sechi, direttore de Il Tempo, che nel suo intervento ha sottolineato come l’Italia, immersa nel Mediterraneo per 8000 km di costa, debba essere parte attiva di quanto sta avvenendo, e per questo è giusto essere intervenuti militarmente in Libia. “Bisogna esportare la libertà e non la democrazia, perché la democrazia è il metodo, la libertà è il valore”, ha aggiunto Sechi che ha puntato il dito contro il Governo statunitense reo, fra l’altro, di aver interrotto i finanziamenti all’opposizione iraniana.
Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione Esteri alla Camera, ha evidenziato come uno dei motivi dello stallo tra palestinesi e israeliani sia il rapporto non amichevole tra gli USA e il loro storico alleato nell’area, Israele. L’apice di questo cattivo rapporto fu sancito dal presidente Obama che, dopo la visita ufficiale in Egitto del 2009 e le aperture al mondo musulmano nel suo famoso discorso del Cairo, tornò in patria senza aver reso omaggio anche allo Stato ebraico. “E’ necessaria una autentica rivoluzione epistemologica" dice Nirenstein "perché è una questione puramente conoscitiva quella di fronte alla quale ci troviamo: per garantire una prospettiva di pace è necessario capire che la questione del mondo arabo è il mondo arabo e non Israele come sostenuto da anni”. "Tutto si può dire oggi tranne che Mohamed Bouaziz, il giovane tunisino che si è dato fuoco dando inizio all’ondata rivoluzionaria, avesse in mente il conflitto israelo-palestinese quando ha compiuto il suo gesto estremo". L’Occidente, ponendo al centro del suo rapporto con il Medioriente la questione israelo-palestinese, ha fallito in toto nella sua analisi.
Nirenstein ha anche sottolineato come le teorie della cospirazione contro gli ebrei e offese antisemite hanno attecchito anche in queste rivoluzioni, contrariamente a quanto si sostiene. A Gheddafi è stato urlato “ebreo”, Mubarak è stato dipinto, nei manifesti di piazza Tahrir, con la stella di davide sulla fronte. "E’ del tutto necessario smetterla con l’incitamento all’odio contro gli ebrei per poter intravedere uno spiraglio di pace". L’Occidente si deve concentrare su questo scopo.
Proprio in quest'ottica la questione israelo-palestinese è importante, perché per anni ha rappresentato il "palazzo dei sogni" in cui le leaderhsip arabe hanno rinchiuso i propri popoli, incitandoli contro Israele per evitare che ci si concentrassero sulla domanda di democrazia e libertà. Per questo la Nirenstein ha annunciato "una lettera aperta in cui chiederemo ai nuovi governi" formatisi dopo le rivolte "di pronunciarsi contro queste teorie e contro l'incitamento all'odio anti-israeliano".
Nel terzo e ultimo panel, “Europa e USA: alla ricerca di nuovi equilibri”, il focus si è spostato più sulla stretta attualità che vede il mondo impegnato nell’operazione Odissea all’Alba in Libia. Yossi Kuperwasser, direttore generale del ministero israeliano per gli affari strategici, ha accolto con piacere la risolutezza dell’Occidente nel prendere in mano la situazione per fermare gli attacchi alla popolazione civile da parte di Gheddafi. Ma, si chiede, dov’erano gli stessi paesi nel giugno 2009, quando i manifestanti iraniani venivano uccisi dal regime nelle piazze di Teheran? “Il destino del Medioriente verrà deciso soprattutto da come verrà gestita la minaccia iraniana” sostiene Kuperwasser. “L'Iran vuole cambiare l'ordine mondiale e l'unico modo per evitare che questo accada è alzare la testa ed impedire che possa davvero farlo”.
Margherita Boniver, presidente della commissione bicamerale Schengen e inviato speciale del ministro degli Esteri per le emergenze umanitarie ha invece espresso scetticismo e preoccupazione su un intervento militare "condotto da quattro cinque nazioni con il beneplacito 'peloso' della Lega araba”. Secondo la Boniver "non è stata una grande idea quella di non percorrere la via diplomatica fino in fondo e ciò dovrebbe farci riflettere su come l'Ue forse sia andata in ordine sparso", soprattutto tenendo conto che "la posizione dell'Italia è quella più rischiosa". Intervenuti successivamente, l’On. Gianni Vernetti (API), il direttore delle relazioni internazionali dell’Aspen Institute Italia Marta Dassù e Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera, hanno invece sostenuto l’inevitabilità dell’intervento militare e come ora, una volta entrati in battaglia, è necessario portare a termine con convinzione l'operazione per liberare il popolo libico.
A questo link potete ascoltare la registrazione del convegno, suddivisa per interventi:
http://www.radioradicale.it/scheda/323801/israele-di-fronte-alla-rivoluzione-dei-paesi-musulmani-speranza-o-pericolo