venerdì 30 dicembre 2011

Terzi: "Nucleare, sanzioni più dure all'Iran"


Il ministro: giro di vite necessario dopo il rapporto dell'Aiea


Il capo della Farnesina sui principali nodi della politica diplomatica italiana, dai dossier nucleari alla primavera araba

Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi Sant'Agata (Imagoeconomica)
Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi Sant'Agata (Imagoeconomica)

Roma, 30 dicembre 2011 - Ministro Giulio Terzi, in Iran torna a crescere la tensione. L’Italia, spesso guardata con un certo sospetto dai partner atlantici per i suoi legami con Teheran, può giocare un ruolo nel disinnescare la crisi? «L’Italia sta dando un contributo importante alla politica europea e transatlantica che si è ormai ben consolidata ed è fondata sul principio del cosiddetto ‘doppio binario’. Da un lato il rafforzamento della pressione sanzionatoria,dall’altro il mantenimento della porta aperta al dialogo. In altre parole: le sanzioni non sono un fine in sé, ma uno strumento per indurre Teheran a passare, sul dossier nucleare, da una postura confrontativa ad una cooperativa».
E nuove sanzioni servono?«Dopo la pubblicazione dell’ultimo rapporto dell’Aiea, siamo convinti che la pressione sanzionatoria debba essere ulteriormente rafforzata. L’Ue è chiamata a decidere su questo a fine gennaio. Parliamo di sanzioni anche nei settori finanziario e petrolifero. E l’Italia è d’accordo».
Siria: che fare? La repressione continua con meticolosa efficienza...«Siamo molto preoccupati per la continuazione dell’escalation di violenza in Siria. La cessazione della repressione è una priorità assoluta. Innanzitutto, gli osservatori devono essere messi in condizione di fare il loro lavoro. E poi c’è bisogno quanto prima di una pronuncia chiara e ferma del Consiglio di Sicurezza. Il Piano di pace della Lega Araba è la strada da seguire per fermare le violenze: chiediamo una sua piena e immediata attuazione».
Le primavere arabe stanno per compiere un anno e le tensioni, in Egitto come in Libia, restano forti. Cosa può fare l’Europa per accompagnare in quei Paesi la crescita di sistemi democratici? «Come Europa abbiamo delle responsabilità particolari nell’accompagnare le primavere arabe e favorire il graduale consolidamento democratico. È vero, il percorso in alcuni Paesi, ad esempio in Egitto, non è stato lineare; abbiamo visto un ritorno preoccupante delle tensioni e violenze. Crediamo però che l’Egitto, così come la Libia, siano sulla strada giusta»
Ne è sicuro? Un esito favorevole alla democrazia pare a rischio.«Non era facile e nemmeno pensabile un pieno consolidamento del quadro interno dopo rivoluzioni che hanno spazzato decenni di dittatura. Dobbiamo essere pazienti, pur mantenendo fermi i nostri principi, e continuare ad impegnarci fortemente. Sul piano bilaterale, ho in programma una serie di missioni in Tunisia, Egitto e Libia nelle prime tre settimane di gennaio. E saranno occasioni importanti per avviare un dialogo ad ampio raggio con le nuove forze politiche».
La caduta dei regimi arabi — basti pensare ad Egitto ed Iraq — ha creato nuove tensioni a carico delle comunità cristiane, peraltro sotto tiro anche in Nigeria. Non c’è stata da parte dell’Occidente una sottovalutazione di questo tema?«Dobbiamo assolutamente mantenere alta la guardia. La tutela dei diritti umani è parte centrale non solo della nostra politica estera, ma della nostra identità nazionale ed europea. Sugli episodi recenti in Nigeria ho già espresso la mia più ferma condanna. E ho appena chiesto all’Alto Rappresentante, Ashton, di inserire il tema delle libertà religiose in agenda per il prossimo Consiglio dei Ministri degli Esteri della Ue».
L’ennesimo sequestro di una nave italiana mostra come la comunità internazionale abbia grandi difficoltà a contenere il fenomeno della pirateria somala. Bastano misure puramente difensive?
«È vero che il fenomeno è sempre più preoccupante, ma il numero degli attacchi contro le navi a largo delle coste somale conclusisi con successo è nell’ultimo anno drasticamente diminuito. Ciò è stato possibile anche grazie alle misure di pattugliamento Ue e Nato. La pirateria è comunque un fenomeno complesso, che si combatte attraverso strategie complesse».
Non sarebbe meglio investire di più a terra rafforzando l’autorità centrale della Somalia?«Sì, in ultimo la pirateria si combatte a terra: di qui l’importanza della stabilizzazione complessiva di Paesi come la Somalia, ma anche lo Yemen, ai cui sforzi internazionali l’Italia sta offrendo un contributo di primo piano nella formazione delle forze di sicurezza e nel capacity building». 
di Alessandro Farruggia

 
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