Iran: uno stato "mortedipendente"
Le autorità iraniane contrastano il traffico di stupefacenti con la pena di morte, la legge prevede infatti l’impiccagione per il possesso di più di 30 grammi di eroina o di 5 chili di oppio. "Mortedipendenza. Le esecuzioni per reati di droga nel 2011", il titolo del nuovo rapporto Amnesty sulla pena di morte la dice lunga sulle esecuzioni autorizzate dal governo di Teheran.
Secondo il dossier, in Iran sono state giustiziate almeno 600 persone dall’inizio del 2011 fino alla fine di novembre, di cui almeno 488 esecuzioni effettuate per presunti reati legati allo spaccio o al consumo di stupefacenti. Il Paese dunque ha intensificato l’uso della pena capitale, addirittura triplicando le sentenze di morte rispetto a due anni fa. «Una strage di proporzioni impressionanti», l’organizzazione per i diritti umani non ha usato mezzi termini per definire il drastico aumento delle esecuzioni.
«I reati di droga costituiscono nettamente il principale motivo del profondo aumento delle esecuzioni in Iran negli ultimi 18 mesi. L'obiettivo finale è che l'Iran abolisca la pena di morte per tutti i reati, ma già impedire le esecuzioni per reati di droga, che tra l'altro violano il diritto internazionale, sarebbe un primo passo per ridurne notevolmente il numero», ha dichiarato Ann Harrison, vicedirettore per il Medio Oriente e l'Africa del Nord di Amnesty International.
L’Iran è il più grande mercato mondiale di oppio, senza contare l’altissimo tasso di mortalità per droga, il quarto nel mondo. Eppure, non vi sono strategie per contrastare il fenomeno. Le campagne antinarcotici, tra l’altro finanziate da molti Paesi europei, si esauriscono in una serie di impiccagioni sia pubbliche che segrete.
Solo nella scorsa settimana, nove detenuti sono stati impiccati in Iran, tutti per traffico di droga e tutti senza un regolare processo. L'avvocato difensore di uno degli impiccati ha infatti dichiarato di non essere stato avvertito dell'esecuzione del proprio assistito, mentre secondo la legge vigente in Iran il difensore deve essere avvisato della prevista impiccagione 48 ore prima.
Sempre secondo quanto riportato da Amnesty International, in molti casi vengono giustiziati innocenti o persone provenienti dai gruppi emarginati. Poveri, minoranze etniche discriminate e stranieri, in particolare afgani, vengono condannati per possesso di droga e uccisi senza neanche un processo.
«Ci hanno chiamato dalla prigione di Taybad per dirci che l’avrebbero ammazzato entro due ore. A me risulta che non sia mai comparso nemmeno davanti a un giudice. Non abbiamo potuto neanche recuperare il suo corpo, perché non avevamo i 200 milioni di rial (13.800 euro) che ci avevamo chiesto», ha così raccontato uno dei familiari di Haj Basir Ahmed, cittadino dell’Afghanistan giustiziato tre mesi fa.
Nessuno sembra scandalizzarsi al riguardo. Arresti di massa, processi assenti, detenzioni arbitrarie, maltrattamenti nelle carceri e condanne a morte discutibili, la giustizia iraniana ci ha abituato a tutto questo.
Negli ultimi anni, l'Iran ha ricevuto assistenza internazionale da diversi paesi europei per cercare di controllare l'ingresso della droga nel territorio. Secondo Amnesty, l’UE ha fornito all’Iran 9 milioni e mezzo di euro in tre anni e l’ufficio delle Nazioni Unite per le droghe e il crimine (UNODC) ha dato al Paese 14 milioni di sterline dal 2005 per finanziare la campagna anti-narcotici. Dunque, nonostante molti Paesi finanziatori siano contrari alla pena di morte, continua il sostegno economico al regime, senza troppe preoccupazioni per l’impressionante uso della pena capitale.
Marianna Falso
alle 02:43