IL CHADOR PIU' ODIATO DAI MULLAH
Maryam Rajavi, la donna che guida la resistenza contro il regime islamista di Khomeini e Ahmadinejad con il velo islamico in testa
TEMPI.IT
di Marta Allevato
Maryam Rajavi da 15 anni è la guida del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Cnri), la coalizione di forze democratiche che mira a rovesciare il regime di Teheran. Quante volte hanno attentato alla sua vita nemmeno lei lo ricorda più. Se glielo chiedi si mette a ridere. «Nel 1996 – racconta a Tempi – la polizia belga scoprì un cannone mortaio da 320 millimetri nascosto in un cargo iraniano. Era destinato a un’azione terroristica contro la mia residenza a Auvers-sur-Oise». La lady di ferro col velo, la cui popolarità fa tremare la dittatura i-slamista iraniana, vive nei pressi di Parigi. Da 26 anni non vede la sua patria. Ma ogni giorno dall’Iran le arrivano notizie che raccontano di «bambine mandate nel Golfo a prostituirsi, studenti torturati in prigione, minorenni impiccati in piazza. La nostra lotta è fatta di dolori profondi, ma anche di grandi gioie. Come quella di vedere una nuova generazione di uomini che praticano l’uguaglianza tra i sessi».
«La signora Rajavi – interviene un attivista del Cnri presente all’intervista – ha realizzato un’autentica rivoluzione culturale: se il regime propaganda la misoginia, per sconfiggerlo dobbiamo fare l’opposto: dare potere alle donne». «Senza l’appoggio dei nostri uomini – ironizza la guida della resistenza – ci saremmo trasformate semplicemente in un movimento femminista».
Maryam si “arruola” contro la monarchia negli anni Settanta. Diventa rapidamente una dirigente del movimento degli studenti e inizia a militare tra i Mujaheddin del popolo iraniano (Pmoi). Una delle due sorelle, Nargues, viene uccisa dalla polizia segreta dello scià. Durante il regno del terrore khomeinista, l’altra sorella, Massumè, viene arrestata e uccisa sotto tortura; era incinta di otto mesi. Anche il marito, Mahmud Izadkhak, subisce la stessa fine. I pasdaran prendono d’assalto più volte la casa di Maryam, che decide di fuggire a Parigi. Qui inizia la carriera nell’ala politica del movimento. Nel 1989 teorizza la necessità di far emergere la componente femminile come determinante per il cambiamento della società iraniana. Nel 1993 il Cnri la elegge presidente della Repubblica per il periodo di transizione dopo il rovesciamento dei mullah.
Ingegnere, 55 anni, Maryam Rajavi non trova nulla di strano nel combattere il fondamentalismo con il velo in testa: «È democrazia. Chi crede nel vero islam si impegna a rispettare il diritto alla libertà religiosa. Indosso il velo, ma darei la vita per garantire la libertà alle donne. Quando la rivoluzione khomeinista ha imposto il chador, noi dei Mujaheddin, che già portavamo il velo, siamo scese in piazza a protestare». Il Pmoi rappresenta la componente maggiore all’interno del Cnri, che è una sorta di Parlamento in esilio; si propone come governo di tran-sizione dopo il regime, con il compito di organizzare elezioni libere entro sei mesi dalla caduta dei mullah. Alla volontà di sterminio manifestata da Khomeini, negli anni Ottanta, l’organizzazione risponde con le armi, dicendosi disposta ad abbandonarle in cambio di libertà di parola e attività. Costretti all’esilio, i Mujaheddin del popolo fanno della città di Ashraf, in Iraq, la loro base. Su pressione di Teheran, nel 1997, gli Stati Uniti iscrivono il Pmoi tra le organizzazioni terroristiche straniere, una specie di “gesto di buona volontà” verso il governo iraniano. Poi, per tutti gli anni Novanta, il regime islamico ha richiesto, ossessivamente, a ogni incontro diplomatico con i partner europei di “bloccare” i Mujaheddin del popolo. Finché nel 2002 anche l’Unione Europea segue la scelta di Washington. Dal 2001, però, il Pmoi ha rinunciato alla lotta armata. Ora è impegnato in una campagna mondiale per la propria riabilitazione. E qualche vittoria l’ha ottenuta. A fine ottobre la Corte europea ha deciso per la sua rimozione dalla black list. Francia, Belgio e Italia stanno facendo lo stesso.
Da sette anni i Mujaheddin del popolo danno battaglia solo nelle piazze con volantini, siti internet, canali satellitari. Sfidando la censura e il carcere. L’obiettivo è la “terza via”: «No alla guerra, no al dialogo con i mullah, sì al riconoscimento internazionale della resistenza iraniana, unica alternativa alla teocrazia». Nel Parlamento italiano la causa ha trovato sostegno bipartisan. E la Rajavi apprezza la maggiore fermezza verso Teheran del governo Berlusconi, rispetto al precedente. «Nella comunità internazionale l’Italia potrebbe farsi pioniere di una nuova politica, che abbandoni l’accondiscendenza verso i mullah». Anni di dialogo e incentivi alla dittatura religiosa sul dossier nucleare non hanno avuto risultati significativi e il regime corre velocemente verso la possibilità di realizzare ordigni atomici. Perfino l’Agenzia internazionale per l’energia atomica nella sua ultima relazione ammette di non poter garantire che Teheran non persegua, in segreto, programmi nucleari militari.
L’illusione dei “moderati”
La Rajavi ha visitato l’Italia l’ultima volta il 22 ottobre, su invito di Alleanza nazionale. L’occasione è stata la consegna dell’appello firmato da 164 senatori di destra e di sinistra per rimuovere il nome dell’organizzazione dei Mujaheddin del popolo iraniano dalla lista europea del terrorismo internazionale.
Nell’Iran libero che sogna Maryam c’è un sistema multipartitico ed elezioni trasparenti. Non c’è pena di morte. Vige la separazione tra Stato e religione. E non c’è posto per armi nucleari. La donna denuncia «l’abbaglio» dell’Occidente, che crede esistano moderati in seno al regime. Per spiegarlo usa un proverbio iraniano: «“Il cane giallo è fratello dello sciacallo”. Si trattava solo di miraggi, un’altra faccia della stessa medaglia. Il frutto naturale dei cosiddetti governi moderati di Rafsanjani e Khatami è stata, infatti, l’ascesa di Ahmadinejad e dei pasdaran a ogni livello del potere». Questa sorta di esercito parallelo ideologico controlla la politica e l’economia, il Parlamento, le tv, la radio. Anche il capo delle forze armate tradizionali è un pasdaran. Fu per ordine del “moderato” Khatami – ricorda Maryam – che nell’estate del 1999 vennero insanguinate le pacifiche manifestazioni degli studenti a Teheran.
Oggi in Iran, nonostante l’abbondanza di petrolio, c’è solo miseria. L’80 per cento della popolazione vive sulla soglia della povertà e l’inflazione del paese è la quinta al mondo. «Il malcontento e le proteste aumentano». L’ultimo sciopero dei commercianti dei bazar contro la nuova Iva a ottobre «è il segnale di una volontà di cambiamento. Il regime è sempre più isolato anche sul piano interno e per tenersi in vita aumenta la repressione, esporta il terrorismo in Iraq, Libano, Palestina, spinge verso l’atomica e invoca la distruzione di Israele». La presidente del Cnri è convinta: «Se la situazione va avanti così e non si adotta una politica ferma e un embargo totale verso la dittatura religiosa, tutto è possibile e la guerra potrebbe essere alle porte».