giovedì 7 maggio 2009

Ma a Teheran il boia non si ferma



Un quadro di Delara darabi
Dal Quotidiano.net

di Aldo Forbice
L’IMPICCAGIONE della giovane pittrice Delara Darabi a Teheran ha suscitato un’ondata di emozione in Iran e in Occidente. Aveva 23 anni ed era stata condannata per un omicidio che avrebbe commesso a 17 anni. Ma la sua colpevolezza non era stata provata, anche perché la confessione (per salvare il fidanzato maggiorenne) era stata ritrattata. L’Iran continua a essere l’unico Paese a mandare a morte i minorenni: da due anni anche gli Usa hanno cancellato la pena capitale per chi è sotto i 18 anni. Ma ora il regime teocratico si è irrigidito e le impiccagioni si susseguono (11 negli ultimi tre giorni, fra cui un uomo lapidato per adulterio).



Nei primi quattro mesi di quest’anno si contano 164 esecuzioni, il doppio dello stesso periodo 2008 (356 in tutto l’anno). Senza contare le vittime per tortura. Del resto il regime iraniano è stato condannato dai diversi organismi Onu ben 55 volte per la continua violazione dei diritti umani.



Ma la repressione è diventata più spietata. Nella gran parte dei casi, le esecuzioni colpiscono giovani dissidenti accusati di reati legati a droga e adulterio. Il crescente malcontento di donne, studenti e lavoratori disoccupati che contestano il regime religioso è documentato anche dalle manifestazioni di protesta (8000 nel 2008), che si concludono quasi sempre con brutali interventi dei "guardiani della rivoluzione" e della polizia. Nella politica di repressione gli hajatollah non risparmiano il campo di Ashraf, cittadina irachena abitata da esuli e dissidenti iraniani (i mojahedin del popolo), presidiata dagli americani.



Ora, con la complicità di una parte del parlamento iracheno (filo iraniano), Teheran esercita forti pressioni per smantellare questo campo e deportare in Iran una parte di questi dissidenti per arrestarli e fucilarli, mentre l’altra parte dovrebbe trovare accoglienza in Europa. Finora l’Ue ha risposto duramente alla minaccia, però i cittadini di Ashraf sono prigionieri nel loro villaggio. Maryam Rajavi,la coraggiosa presidente della resistenza iraniana, è intervenuta più volte al parlamento Ue e alle Nazioni Unite. Si è rivolta a Barack Obama, al Consiglio di sicurezza dell’Onu e alla Croce rossa internazionale. Forse gli Usa, alla vigilia dell’apertura di un negoziato con gli uomini di Khamenei e Ahmadinejad, dovrebbero mettere sul tavolo anche il caso Ashraf.

 
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