domenica 28 giugno 2009

LE'VY: " IL REGIME IRANIANO HA I GIORNI CONTATI"


INTERVISTA AL FILOSOFO FRANCESE
Lévy: "Il regime iraniano
ha i giorni contati

Il filosofo Bernard-Henri Lévy
“Khamenei ha smesso di fare
l’arbitro ora l’unità del Paese
s’è rotta per sempre”

MARIA GIULIA MINETTI
MILANO
La vera questione è ciò che si ha in testa quando si decide che la sorte del genere umano ci è indifferente o quando, all’inverso, si assume il ruolo di chi sceglie di fare come se la disgrazia degli altri lo riguardasse…». È una delle frasi-chiave di Nemici pubblici, il libro a due voci di Michel Houellebecq e Bernard-Henri Lévy (alla Milanesiana per presentarlo) in uscita da Bompiani, e chi fra i due sia quello che sceglie di fare come se la disgrazia degli altri lo riguardasse, è facile capirlo. Proprio ieri è apparsa la notizia dell’ultima «intrusione» di Lévy nella disgrazia altrui: la diffusione su internet di un video dove Ahmadinejad ringrazia un gruppo di ayatollah oltranzisti per i «servigi resi» e proclama giunto il momento di «esportare la rivoluzione islamica nel mondo».

Eppure lei si dice convinto che queste elezioni siano il principio della fine per il regime iraniano.
«Non sono sicuro ma accetto la scommessa. Certo, non credo che possa accadere da un giorno all’altro. Viviamo in un’epoca di tempi corti. O le cose accadono subito o sembra che non debbano più accadere. Provi a chiedere in giro: la gente crede che la rivoluzione di Khomeini sia accaduta in un lampo. C’è voluto un anno».

C’è anche l’ipotesi Tien An Men…
«C’è anche quell’ipotesi, ma io mantengo la mia scommessa. Perché credo che il regime islamista in Iran sia “rotto”. Riposava su un’unità vera. Ma oggi quell’unità è di facciata. E dal giorno in cui Khamenei ha deciso di appoggiare il risultato delle elezioni ha perso il suo ruolo di arbitro. Il conto alla rovescia è cominciato a partire da quel giorno».

Il suo «engagement» è inesausto. L’Iran è solo l’ultima causa di una serie densissima, Algeria, Bosnia, Afghanistan, Pakistan, Darfur…
«Non sono solo interventi sporadici, prese di posizione sui giornali. Se mi dedico a una causa mi metto a disposizione completamente».


E dunque mi stupisco che in questo libro si sia messo a dialogare con Houellebecq, il suo perfetto opposto.
«Niente è più stimolante per uno scrittore che mettersi alla prova con uno che ha idee diverse. E poi ritengo Houellebecq uno degli scrittori migliori d’Europa. Mettiamola così: è uno degli scrittori che più rispetto ed è uno degli scrittori con cui più sono in disaccordo». A
che serve il dibattito?
«È una grande opportunità, per chi scrive. Un modo di “mettere in pericolo” le proprie idee. Farle vacillare, creare “intranquillità” nella propria testa…».
Intranquillità?
«È una parola di Pessoa».

A volte sembra che lo scopo di Houellebecq sia soprattutto quella di «andare a vedere» fino a che punto può spingersi con la provocazione.
«È la definizione di un buon intellettuale. Andare a vedere fin dove la provocazione ti porta, a partire da dove diventa debolezza… È questo il buon uso delle idee».

Una delle idee di Michel Houellebecq è che la religione musulmana sia responsabile della degenerazione terrorista.
«È un’idea completamente sbagliata, da cui dissento radicalmente».
Da cosa dipende secondo lei il terrorismo islamico?
«Dalla politica. Bisogna avere il coraggio di dire ad alta voce che c’è un fascismo in senso proprio nel mondo musulmano. Ed è vivo perché non è mai stato pensato come tale. Al contrario di quanto è successo in Italia, Germania, Francia dove la questione è stata pensata, elaborata, sviscerata».

Un fascismo in senso proprio?
«Mistica nazionalista, culto della forza, ossessione della purezza, antisemitismo… Il movimento dei Fratelli Musulmani appare contemporaneamente ai fascismi europei, ne è l’incarnazione mediorientale».
Ma a differenza di quanto è successo in Europa questo fascismo, lei dice, non è stato chiamato col suo nome e poi «superato».
«Il mondo arabo musulmano non ha fatto questo lavoro. Hanno un fascismo tanto più pericoloso in quanto non è mai stato riconosciuto come tale. Ma è una questione politica, in ogni caso, non religiosa. Ho trovato particolarmente disgustoso, quando è uscito, il libro di Oriana Fallaci (La rabbia e l’orgoglio, ndr). Un libro razzista che attaccava la religione musulmana. Io attacco una politica che chiamo fascista e ha una forma pakistana, iraniana, afgana eccetera».
La religione, però, viene abbondantemente usata da questi fascismi.
«Si ricorda la frase di Kant “Limitare il sapere per far posto alla fede”? Nel nostro caso proporrei di cambiarla così: “Limitare la fede per far posto alla politica”. Ma in ogni caso una cosa io so e credo: i musulmani sono miei fratelli, i fascisti sono i miei avversari».
Fede e politica sono tutt’uno nell’Islam. Lo Stato è legittimato da Dio. La sua legge è la legge dello Stato.
«No, deve cambiare, può cambiare. Guardi la Bosnia. Perché mi ha interessato? C'erano là dei musulmani che avevano rotto il paradigma».
L’aveva fatto anche il Baath in Siria e in Iraq.
«Sì, però erano fascisti».
Aspettiamo l’Iran?
«Io ho molta fiducia».

 
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