Dall’aiuto umanitario a un’esperienza di umana condivisione: accade in una parrocchia e in un centro Centro Gesuiti di Londra tra cattolici e musulmani
Uno sciopero della fame che va da Roma a Parigi, da Londra a Toronto. E’ la scelta di tanti iraniani che vivono nel mondo per esprimere solidarietà a un gruppo di loro che vive in una particolare situazione in Iraq. Il servizio di Fausta Speranza
Si tratta di 35.000 dissidenti al regime di Teheran, da 30 anni nel campo iracheno per rifugiati di Ashraf. Sotto gli anni di Saddam Hussein hanno vissuto indisturbati anche se tra loro c’erano diversi appartenenti al gruppo dei Mujaheddin del popolo che in passato è stato coinvolto in episodi di terrorismo. Per questo il gruppo è ancora sulla lista nera degli Stati Uniti mentre l’Unione Europea ha riconosciuto a gennaio scorso che hanno assolutamente messo al bando scelte di violenza. Uomini, donne e bambini di Ashraf durante la guerra scoppiata nel 2003 hanno goduto della Convenzione IV di Ginevra, come persone non coinvolte nel conflitto, e hanno accettato il disarmo totale ma dal ritiro delle forze internazionali, non hanno pace. Il campo è stato isolato con pesanti conseguenze sul piano umanitario, verificate anche da una delegazione di parlamentari europei nella scorsa primavera. Nel mese di agosto ci sono stati degli attacchi e 36 persone sono state portate via dalle forze dell’ordine irachene. E’ per sapere qualcosa di queste persone e delle altre isolate nel campo di Ashraf, che parenti e amici iraniani nelle principali città del mondo stanno facendo lo sciopero della fame, con dimostrazioni davanti alle Ambasciate. A Londra il gruppo che ormai su sedie a rotelle chiede l’attenzione internazionale davanti all’Ambasciata statunitense ha trovato conforto dal punto di vista umano dai parrocchiani della vicina Chiesa dell’Immacolata Concezione e dal vicino Mount Street Jesuit Centre. Abbiamo raggiunto telefonicamente padre William Pearshall, responsabile del Centro.
R. – The Church is concerned...
La Chiesa è preoccupata per coloro che fanno lo sciopero della fame. Ce ne sono 10 nel gruppo di questa zona di Londra. Uno dei leader ha chiesto: “Possiamo pregare nella vostra chiesa?” ed io ho risposto di sì. E così ha fatto la Chiesa inglese. Quindi, sia la Chiesa anglicana che quella cattolica, nonché l’ambasciata, hanno accolto il gruppo per pregare in inglese ed in farsi. Sono musulmani, ma abbiamo pregato insieme, e loro sono stati molto contenti di trovarsi in una chiesa cristiana. Non ci occupiamo di politica, ma siccome questa è una questione umanitaria, siamo coinvolti. L’oggetto della protesta è quello di ottenere l’impegno, l’assicurazione, da parte del governo americano, quello britannico e quello iracheno che gli uomini che sono stati presi prigionieri dalla polizia irachena verranno rilasciati e che non saranno trattati male. Quindi, la protesta serve a richiamare l’attenzione sulla violazione delle garanzie per la protezione del campo dei rifugiati. Sanno che non possono fare molta differenza per quanto riguarda la politica, ma si appellano all’umanità del governo, perché onori questo stato di rifugiati del campo, garantito dalle Nazioni Unite ed anche attuato, credo, dagli Stati Uniti presenti in Iraq. Sei anni fa non c’erano armi nel campo e c’erano 3000 persone: uomini, donne e bambini. La situazione necessita attenzione da parte del mondo.
D. – Lei non ha incontrato persone che si sono state a Camp Ashraf?
R. – No, these are relatives and friends...
No, questi sono parenti e amici delle persone che si trovano nel campo. Uno di loro è stato già portato all’ospedale. Quindi, per la Chiesa è importante essere presente per quelle persone che stanno soffrendo. A livello emotivo sono molto fragili. Una cosa molto bella è stata vedere che erano molto felici di trovarsi in una Chiesa cattolica. Hanno l’appoggio di molti cristiani e, soprattutto, un membro della nostra comunità, della nostra parrocchia, è con loro ogni giorno. Ma non abbiamo un gruppo di supporto ufficiale.
D. – Padre William, cosa significa questa esperienza per lei, per i suoi parrocchiani e per le altre persone appartenenti alla chiesa?
R. – We had a good group…
Avevamo un bel gruppo di cattolici che stavano nella chiesa quando la protesta è scoppiata, e sono rimasti molto commossi nel vederli entrare con le sedie a rotelle e nel capire che queste persone stavano facendo sacrifici molto seri per la loro salute per protestare. Non sanno quale sarà il risultato, ma l’impatto è stato meraviglioso, perché noi semplicemente abbiamo pregato insieme per la pace nel mondo, per la giustizia, per la sicurezza dei nostri amati. Preghiere dal cuore, preghiere che attraversano le divisioni tra cristiani e musulmani. Queste persone hanno detto che onorano Gesù e che amano Maria ed è stato un bene per la nostra gente ascoltarlo.
D. – Padre William, qualche volta parliamo del pericolo dello scontro di civiltà e questa è un’esperienza completamente diversa: musulmani e cattolici che pregano insieme in una chiesa cattolica...
R. – Yes, indeed. If only this could happen…
Sì, certamente. Se solo questo potesse succedere ancora, allora forse ci sarebbe speranza. Ma anche nella storia dei dissidenti iraniani si possono trovare ombre: all’origine del campo di Ashraf ci sono i mujaheddin del popolo, un’organizzazione che a volte lottando per la libertà in passato ha usato la violenza. Ma quando vediamo donne e gente anziana, gente fragile e vulnerabile, che non è combattente, che non è per la guerra, questa è la gente che rappresenta la famiglia, quella stabilità di cui ognuno ha bisogno nella propria comunità.