IRAN DEMOCRATICO VISTO DA NELLA CONDORELLI
Politica in movimento
Iran
il cambiamento democratico
Marjam Radjavi, dove osano le aquile
di Nella Condorelli
E così, Marjam Radjavi ce l’ha fatta. A sette anni esatti dall’iscrizione dei Mujahedin del Popolo Iraniano tra i terroristi internazionali, e’ riuscita a portarli fuori dalle sabbie mobili della lista nera.
Per il momento, solo in Gran Bretagna, ma la decisione del Parlamento inglese di annullare la proscrizione nei confronti dell’OMPI, Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano, e’ di quelle destinate a pesare sull’agenda internazionale. A partire dall’Unione europea che dovrebbe adottarne una simile nel giro di pochi giorni. “Una settimana, al massimo due”, sostengono i responsabili degli Affari esteri dei Mojahedin, il maggiore partito politico del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) che, da trentanni, riunisce gli oppositori in esilio degli ayatollah di Thèran, dai monarchici alle sinistre, messi fuori legge e perseguitati, ovunque e senza tregua, dal regime komeinista della Guida Suprema.
Esponente di punta da sempre dei Mojahedin del Popolo, Marjam Radjavi e’ la presidente del CNRI. Eletta nel 1998, dopo avere via via scalato tutti i gradini della piramide interna, convinta sostenitrice della politica dei diritti umani e dei diritti delle donne su cui ha costruito approccio e prassi politica, in altre parole l’intera architettura della sua azione, portando una maggioranza di donne nei luoghi decisionali del Consiglio e dell’Organizzazione, e rivoltando come un calzino umori e abitudini del suo popolo in esilio. Tre milioni di persone, uomini, donne e bambini, rifugiati politici nei cinque continenti.
56 anni, una laurea in ingegneria, una figlia di primo letto, Marjam e’ sposata in seconde nozze, - c’e’ chi dice, “nozze politiche”-, a Massud Radjavi, il leader storico dei Mojahedin, alla testa della rivoluzione che nel 1979 porto’ alla fuga dello Shah Palhevi dall’Iran. Poco piu’ di un anno dopo, costretto a fuggire anch’egli da Thèran, travolto dall’affermazione della corrente komeinista piu’ oscurantista, e dalla selvaggia repressione scatenata dal partito dei religiosi contro proteste di piazza e guerriglia partigiana. A pagare il prezzo di sangue piu’ alto, per tutti gli anni Ottanta e anche oltre, i suoi Mojahedin del Popolo, 120mila morti, un’intera generazione di giovani, profondamente motivati dal punto di vista ideologico, vittime di torture ed esecuzioni sommarie che non risparmiarono nessuno, neanche i familiari, neanche le donne incinte, neanche i neonati. Mentre la dittatura del “velayat-e faqiq’, il principio komeinista della Guida Suprema religiosa, si andava via via consolidando.
Carismatico quanto lo e’ d’altra parte anche Marjam, Massud Radjavi e’ considerato dai suoi lo stratega occulto dell’operazione che ha portato alla cancellazione dei Mojahedin dalla lista dei terroristi internazionali. E Marjam, la politica sagace e prudente quanto tenace e incrollabile che ha condotto le alleanze interne e internazionali necessarie.
Questo, almeno, il sussurro che la vostra cronista ha colto qua’ e la’, sabato 28 giugno, al Centro Sportivo di Villepinte, periferia di Parigi, dove settantamila iraniani elettrizzati hanno condiviso l’ufficializzazione dell’evento con la presidente Radjavi, (Massud e’ ancora clandestino), e con tutto lo stato maggiore del CNRI, organizzatore della Convention "Avec Marjam Radjavi, pour le changement democratique en Iran", presente una foltissima delegazione di parlamentari ed esponenti di diversi governi occidentali e mediorientali.
Dall’Australia al Canada, dalla Giordania all’Iraq, dalla Palestina alla Tunisia, dalla Gran Bretagna (rappresentata dai Lords, con in testa Lord Corbett, che hanno votato la cancellazione) al Parlamento europeo, agli Stati Uniti, partecipi con numerosi delegati tra i quali si notava il vicesegretario di Stato, parecchi congressisti e rappresentanti di organizzazioni non governative. Presenti per l’Italia, gli onorevoli Carlo Ciccoli di Alleanza Nazionale, Amalia Schirru del Partito Democratico, Paola Goisis della Lega Nord, Beatrice Lorenzetti del Popolo delle Liberta’. Tra gli ospiti, anche rappresentanti religiosi, cattolici e battisti, missionari, esponenti dell’ebraismo, con il rabbino capo di New York.
Convention imperniata in sostanza da una parte sulla massima visibilizzazione della decisione londinese, con una Marjam sorridente e felice come mai si era vista, in mezzo all’incontenibile entusiasmo della sua gente, tailleur ricamato e foulard bianco-argentato-azzurro nei toni del palco su cui spiccava il nuovo logo, un segno rosso stilizzato su campo piu’ scuro. E, dall’altra, sulla (ri)conferma ufficiale del ruolo istituzionale di Massud Radjavi e del protagonismo politico della sua citta’, Achraf, lo “stato” provvisorio dei Mojahedin su suolo iracheno, al confine con l’Iran. Spina nel fianco degli aytollah che per anni hanno cercato con tutti i mezzi (disinformazione e delegittimazione politico-religiosa comprese) di ottenerne la chiusura, bersaglio degli iraniani che sostengono gli sciiti di Badgad, e recentemente al centro di una petizione a favore della sua indipendenza, come citta’ dei mojahedin, firmata da tre milioni di iracheni sostenitori della politica di Massud.
Il voto inglese. La decisione votata all’unanimita’ dalle due Camere del Parlamento britannico, la Camera dei Lords e la Camera dei Comuni, accoglie e ratifica di fatto la sentenza della Corte d’Appello inglese del maggio scorso, e quella della Corte di Giustizia europea (2006), che avevano definito l’organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano “non terrorista”.
Avversato dal premier Gordon Brown, piuttostro propenso ad accogliere le pressioni contrarie di Teheran (fu sotto la presidenza di Kathami, nel 1999, che l’OMPI venne inserita nella lista nera, prima dall’UE e dagli Stati Uniti, e dopo via via dai vari governi europei), sostenuto invece tanto da parlamentari conservatori quanto dai laburisti, il voto inglese rappresenta per i Mojahedin molto piu’ di una legittimazione e persino molto di piu’ di un riconoscimento politico.
Nei fatti, quel che interessa a Marjam e a Massud Radjavi, e a tutti i Mojahedin, dallo stato maggiore sino all’ultimo militante di base, e’ la ricaduta che questa decisione avra’, sta avendo, in patria. Da Thèran a Mashad, da Akwaz (la regione dell’industria petrolifera, sul Golfo) ad Isfahan, a Shiraz, a Qom, alle piccole e media citta’ di provincia di questo sterminato Paese, grande quattro volte l’Italia, con ottanta milioni di abitanti.
Sino a ieri, il nome dei Mojahedin vi era bandito. Per criminalizzarlo presso un’opinione pubblica sempre piu’ provata e distante dalla dittatura religiosa, sempre piu’ insofferente alle regole imposte dalla presidenza Ahmadinejead, - codice di abbigliamento per donne e uomini, luoghi separati (l’ultimo: il cosiddetto “parco della liberta’ di Thèran, un giardino pubblico riservato alle donne, vero e proprio spazio di segregazione sessuale, cinto da un’alto muro di cemento), censura sulla musica e sulla stampa, riesumazione di punizioni corporali come frustate pubbliche, recrudenscenza della pena di morte anche per minorenni, lapidazioni e amputazioni di arti…, insomma un catalogo di violazioni di diritti umani, insopportabile per i moderni ceti borghesi e cittadini del Paese -, … dunque, per criminalizzare il nome dei Mojahedin e segarne le radici popolari, gli aytollah hanno sempre fatto ricorso proprio alla questione della lista nera. “Come dire: abbiamo ragione noi, se anche l’Occidente li considera terroristi…”, mi spiega un responsabile OMPI, “ma adesso, questo non sara’ piu’ possibile…,aggiunge. “Il castello di menzogne del regime e’ destinato a crollare, e sara’ il popolo a farlo fuori. Noi iraniani siamo gente paziente. Un anno, dieci, trenta…quello che conta e’ il risultato, il destino dell’Iran non puo’ essere e non sara’ questo anacronistico regime religioso, antidemocratico…”.
Il pensiero corre alla rivoluzione che costrinse alla fuga lo Shah Reza Palhevi, il 16 gennaio 1979, saranno giusto trant’anni l’anno prossimo. Anche li’, vinsero le manifestazioni e le proteste popolari che montavano da mesi e mesi come un fiume in piena, nonostante gli arresti indiscriminati, il carcere e le torture con le quali per anni la polizia segreta, la Savak, aveva cercato di stroncare l’opposizione politica… Contestato dagli studenti nelle universita’, assediato dalle proteste popolari, boicottato dai grandi mercanti dei bazaar, tutti dietro il pavese dell’“iranita’ sciita” (la questione dell’identita’ nazionale), quindi isolato dalla perdita del favore internazionale, crollo’ alla fine come un castello di carta, il regime di Reza Palhevi che si era fatto imperatore.
La reazione in Iran. Dunque, e’ la legittimazione popolare, degli iraniani e delle iraniane in patria, quello che sta al cuore di Marjam, e ha fatto battere il cuore della convention di Roissy.
Il CNRI punta infatti all’isolamento internazionale del regime teocratico; quel che preme a Marjam e a Massud Radjavi e’ la fine degli aytollah per mano del popolo. Nel discorso di Roissy, la presidente ha chiesto al Parlamento europeo di seguire la decisione adottata a Londra, e cosi’ via agli altri governi, a partire dalla Francia presidente di turno del semestre UE che inizia a luglio. Non era certo la prima volta: da sette anni, la cancellazione dei Mujahedin dalle liste del terrorismo internazionale rappresenta il punto di snodo principale della politica della “Terza Via” che Radjavi ha citato anche a Roissy, e che in un’intervista trasmessa su Rai News24 nel 2005, ai primi venti di guerra soffiati da George W. Bush contro l’Iran, la presidente del CNRI ha sintetizzato anche alla vostra cronista.
In sostanza, ‘No alla compiacenza verso la dittatura religiosa, No all’intervento armato dall’esterno, Si all’autodeterminazione del popolo, attraverso un referendum”. Nei piani politici dell’OMPI, c’e’ dunque il rovesciamento popolare del regime teocratico, il ritorno dei Mojahedin legittimati in patria, l’instaurazione di un governo provvisorio che prepari il referendum per la scelta della forma dello stato, basato sulla democrazia rappresentativa, la liberta’ di stampa e di espressione, l’uguaglianza tra donne e uomini, e la separazione tra stato e religione.
Quanto gli iraniani di oggi, sono pronti a seguirli in questo nuovo scenario politico?
A chi glielo chiede, Marjam dalla fede incrollabile nelle sue tesi, dall’avversione profonda verso gli ayatollah eretici corrotti e corruttori, dalla passione inesauribile per la politica come azione al servizio della collettivita’, risponde ricordando le centinaia e centinaia di manifestazioni contro il presidente Ahmadinejead e la Guida Suprema Kamenej organizzate in questi anni dagli studenti universitari, dagli operai delle zone industriali, dagli insegnanti, dalle donne, dai camionisti, dalle minoranze religiose perseguitate. Sottolinea le proteste della gente qualunque, provata da una progressiva a montante poverta’ nel Paese del petrolio; denuncia gli arricchimenti illeciti e gli storni di risorse pubbliche a favore di tasche private, l’aumento esponenziale del consumo di oppio tra giovani e donne, casalinghe per lo piu’, le fughe delle ragazzine da casa, la prostituzione e la tratta degli esseri umani. Risponde con i filmati sulle esecuzioni pubbliche, le impiccagioni alle gru sulla pubblica piazza per omosessualita’ e sodomia, la lapidazione nei cimiteri delle adultere.
La decisione britannica che riconsegna le donne e gli uomini militanti dell’OMPI al loro status di “resistenti”, di “partigiani”, puo’ dunque avere un significato altissimo nell’Iran di Ahmadinejead, lontano dalle brume di questa campagna francese dove da trent’anni si consuma nel bene e nel male il destino dei capi dell’opposizione in esilio. Il che spiega le pressioni sul governo inglese prima, e l’irritazione con cui il governo di Tèrhan ha gestito poi la notizia della decisione. Non sfugge certo il suo possibile impatto sugli assetti presenti e futuri dell’intera regione. Anche la Storia vi gioca la sua parte: gli inglesi, antichi colonizzatori di quest’area (e rivali tra Ottocento e Novecento della Russia zarista, anch’essa interessata ad estendervi i suoi interessi), si sentono in qualche modo ancora a casa loro. E i cugini americani non sono da meno. Bush e’ alla fine del suo mandato, ma l’Iran rimane il chiodo fisso. A nord e a est, ci sono le repubbliche asiatiche ex-sovietiche, c’e’ la strada per l’India e per la Cina, la via del gas e la via della seta… Affari e commerci.
Forse per questo, della convention di Roissy che ha celebrato il trionfo della realpolitik di Marjam Radjavi (“siamo, siete cambiati”, disse due anni fa parlando ad un pranzo per poche decine di persone, nella sala mensa di Auvers sur Oise, dov’e’ il quartier generale del CNRI), colpiva anche l’efficienza tutta nuova (e istituzionale) dell’organizzazione. Computer e linee adsl per la stampa, traduzioni simultanee in tre lingue, grandi schermi qua’ e la’, sottotitolatura del discorso presidenziale… Ma insieme c’erano le banderolles di fiori blu, dal sapore cosi’ indiscutibilmente persiano e arabo, le colombine della pace di gesso bianco, la musica, e quel silenzio totale piombato improvvisamente sugli ospiti stranieri quando sullo schermo sono apparse le immagini del Novecento iraniano, in tutt’uno con i ritratti dei leaders che guidarono le rivolte contro l’assolutismo delle dinastie degli shah, introducendo preziose riforme costituzionali.
Dalle foto stinte di Mirza Taghi Khan che, ancora prima, a meta’ Ottocento, favori’ la riforma dell’amministrazione statale, a quelle della Rivoluzione Costituzionale che nel 1906 costrinse lo shah Mozaffar al-Din a firmare una Costituzione garante di una certa liberta’ di parola, di stampa e di associazione, alle foto di Mohammed Mossadeq, primo ministro dello Shah Palhevi, che negli anni Cinquanta nazionalizzo’ il petrolio, destituito da un colpo di stato organizzato da Cia e servizi segreti inglesi, sino ai filmati di repertorio di Massud Radjavi, e’ chiaro. A partire da un altro giugno di ventotto anni fa, il 1980, con il leader dei mujahedin che parla nella sua Tèrhan ad una folla enorme, la giacchetta verde dei guevaristi, il palco pieno di altri giovani… Sfilano velocemente, e sfumano, nello stesso documentario, le foto di migliaia di martiri, ragazzi e ragazze, volti giovani, occhiali spessi come usava negli anni Ottanta, sotto i capelli neri riga laterale o sotto un nero chador. Achraf e Massoumeh, le eroine. In quanto alla memoria, i mojahedin non l’hanno persa.