A Pescara un incontro sulla resistenza iraniana contro la dittatura religiosa persiana
sabato 20 febbraio 2010
"Nonostante l'elevato numero di arresti, omicidi e danni, la rivolta segna una vittoria per il popolo e la campana a morte per il regime nella sua interezza". Il riferimento è alle manifestazioni dell'11 febbraio a Teheran, in occasione dell'anniversario della rivoluzione contro la monarchia. A parlare è Shaed, dell'associazione Donne democratiche iraniane in Italia, relatrice dell'incontro a sostegno della resistenza contro la dittatura religiosa persiana, autoorganizzato e autogestito da Moreno De Sanctis e Gildo Fantone, svoltosi ieri nella sala della Cgil di Pescara. Shaed è andata al sodo del problema: "Mentre il popolo iraniano vive sotto la soglia della povertà, il denaro, frutto della ricchezza del nostro paese viene speso per esportare terrorismo e per potenziamenti nucleari". Dall'incontro emerge un dato netto: sono molti i particolari che non conosciamo della repressione a Teheran, o per mancanza di consapevolezza, o per le gravi lacune dovute all'occultamento dell'informazione e alla censura. Al di là delle diverse posizioni che gli stati occidentali hanno assunto nei confronti della Resistenza iraniana (i mujaheddin del popolo sono tuttora considerati terroristi da Usa e Canada, ma nel 2009 l'UE li ha depennati dalla 'lista nera'), è infatti inevitabile il confronto con un popolo (quello iraniano tout court, per intero, a prescindere dal titolo di mujaheddin, dai colori politici e dalle classificazioni) che denuncia fieramente le violazioni quotidiane delle libertà politiche e sindacali, la discriminazione delle donne e la repressione violenta di ogni dissidenza. Maryam Rajavi, del Consiglio nazionale della Resistenza Iraniana, ha ricordato di aver portato nell'aprile 2006, all'attenzione del Consiglio d'Europa, i pericoli della dittatura religiosa: "Non chiediamo ai paesi stranieri né armi né denaro - aveva detto la Rajavi in quella sede - Il nostro scopo non è di prendere il potere a qualsiasi prezzo, ma di garantire la libertà e la democrazia a qualsiasi prezzo". Oggi l'Iran continua il suo percorso di lotta e punta dritto alla determinazione del popolo, ma la strada è irta di ostacoli. E non solo a Teheran. Basti pensare che dal 2009 la repressione e le difficoltà si moltiplicano a Camp Ashraf, centro di residenza in Iraq di 3400 dissidenti persiani, posti sotto l'egida della 4° Convenzione di Ginevra, passato, e non senza polemiche nell'opinione pubblica internazionale, dalla tutela statunitense, assunta nel 2003, a quella delle forze irachene, nel 2008. Proprio in questi giorni è stato reso noto che gli Amici del Gruppo del Parlamento europeo per un Iran libero (che comprende molti europarlamentari di diversi orientamenti politici e di diversi Stati membri) hanno chiesto al Presidente del Consiglio Europeo, all'Alto Rappresentante dell'Ue per gli Affari Esteri e al Segretario Generale dell'Onu, di "intervenire immediatamente per prevenire altri attacchi violenti contro Camp Ashraf e per chiedere la fine istantanea all´assedio che ha negato l´accesso al campo di medicinali, dottori, cibo, carburante e familiari negli scorsi 14 mesi". Si ricordi che già nell'agosto 2009 lo stesso New York Times aveva parlato, pur nell'assunto che gli Usa non avrebbero ripreso la tutela del centro, della necessità di fermare il bloodshed, lo spargimento di sangue, nei confronti dei residenti di Camp Ashraf. Mentre si ultimano queste righe, continuano le proteste e molti processi svoltisi sotto l'accusa di moharebeh, l'essere nemici di Dio, culminano in sentenza capitali. L'Onu riaccende i propositi di sanzioni, e anche la Russia ribadisce che ci vuole un 'pugno di ferro' contro i soprusi. "E' importante - ha concluso Shaed - che le sanzioni siano dirette al regime". Come dicono anche i sostenitori del movimento Free Green Iran, "Keep hope alive": mantieni viva la speranza.
Carlotta Giovannucci