giovedì 22 novembre 2007

APPELLO DEGLI IRACHENI NAZIONALISTI CONTRO I MULLAH IRANIANI



Iraq, gli sciiti contro la strategia oscurantista dell’Iran

Roma, 22 nov (Velino) - “Le pugnalate più velenose piantate ai fianchi di noi sciiti dell’Iraq sono state sferrate dal regime iraniano che strumentalizza in modo vergognoso la confessione religiosa comune per realizzare i suoi malvagi intenti”. È la storica e durissima presa di posizione assunta per la prima volta da 300 mila firmatari di una petizione lanciata da un raggruppamento di tribù sciite del sud iracheno che accusano Teheran di voler dividere il sud dal resto del paese, come riferisce oggi l’agenzia stampa irachena Aswataliraq. Nel comunicato emesso dal “Raggruppamento delle Tribù Nazionale Indipendente”, il sud sciita lancia un segnale preciso contro gli ayatollah al potere nel paese vicino allineandosi alla posizione degli Stati Uniti che accusano l’Iran di fomentare la violenza in Iraq. Il documento firmato da “14 ulema religiosi, 600 capi tribù, 1.250 avvocati e giuristi, 2000 medici, ingegneri e docenti universitari e 25mila donne”, come riferisce l’agenzia Aswataliraq, chiede alle Nazioni Unite di “inviare una commissione per indagare sui crimini commessi dal regime di Teheran nelle province meridionali lungo gli ultimi 4 anni”. I firmatari accusano inoltre l’Iran di “tramare per dividere l’Iraq e separare le nostre province dal resto del nostro glorioso paese”. Gli sceicchi non hanno voluto essere identificati per timore di ritorsioni, ma hanno detto che vari gruppi vanno raccogliendo le firme da sei mesi in tutto il sud dell’Iraq.
In agosto, due governatori provinciali sono stati uccisi da bombe collocate sul ciglio della strada, vittime apparentemente di una lotta interna tra forze sciite per il controllo della regione, che è molto ricca di risorse petrolifere. Anche diversi collaboratori del Grande Ayatollah Ali al-Sistani, il più influente leader religioso sciita iracheno, sono stati assassinati negli ultimi mesi, a Bassora, Najaf, e Diwaniya. Le principali forze che si contendono il controllo del sud dell’Iraq sono il Consiglio Supremo islamico iracheno (ex Sciri), che fa parte della coalizione di governo, e il movimento di Muqtada al Sadr, che ne è uscito in aprile. Entrambi dispongono di ali armate: le Brigate Badr, per il Consiglio Supremo, e l’Esercito del Mahdi per il movimento di Sadr. Tutti e due sono partiti sciiti di ispirazione religiosa, che ritengono che l’Iraq debba essere governato secondo i principi dell’Islam, ma i loro legami con l’Iran sono diversi. Gli americani ritengono che l’Iran abbia un triplice obiettivo in Medio Oriente: rovesciare la pax americana, convincere Washington che per ottenerla si deve pagare pedaggio a Teheran ed esportare la rivoluzione khomeinista fra gli sciiti iracheni. Gli ordigni ad alta penetrazione (Efp), che hanno provocato un terzo dei caduti registrati in Iraq, sono usati dai miliziani sciiti e sono i soli capaci di perforare la corazza di un carro Abrams, il principale carro da battaglia Usa. I militanti sciiti filorianiani hanno portato a termine il 73 per cento degli attacchi in cui sono rimasti uccisi o feriti militari americani.
Risalgono al 2005 le prime proteste, riservate, degli Stati Uniti con l’Iran per il fatto che le Guardie Rivoluzionarie e gli Hezbollah filoiraniani addestravano militanti sciiti in Iraq all’uso delle bombe Efp. In Iraq l’influenza di Teheran non è mai stata così forte. Secondo Chatham House, il think tank britannico, “l’Iraq è ormai il cortile di casa dell’Iran”. Dieci giorni fa in Iraq si era già registrato uno storico segnale contrario alla destabilizzazione promossa da Teheran. “La prima fatwa sunnita e sciita contro la violenza”. Così la definiva un rapporto del Times di Londra. È il primo documento islamico interetnico contro al Qaeda in Iraq. Se ne parlava da giugno, quando i grandi dignitari sunniti e sciiti hanno iniziato a incontrarsi al Cairo e a Baghdad per produrre la prima fatwa contro il terrorismo islamista. I due protagonisti sono il primo aiutante dell’ayatollah Ali al Sistani, l’ayatollah Ammar Abu Ragheef scampato alle bombe di al Qaeda, e lo sceicco sunnita Ahmed al Kubaisi, i cui sermoni sono seguiti da oltre venti milioni di sunniti e che ha firmato la “lettera dei 138” ai leader cristiani. “Secondo la nostra fede uccidere esseri umani in nome di Dio è una dissacrazione delle leggi del Paradiso e diffama la religione, non solo in Iraq, ma in tutto il mondo” recita l’editto. Quasi un manifesto antifondamentalista, una dichiarazione pubblica di resistenza sia allo stragismo sunnita di al Qaeda che al furore egemone dei mullah iraniani.
(Giulio Meotti)

 
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