IRAN, GLI STATI UNITI AGGIORNANO I PIANI D'ATTACCO
Iran, gli Stati Uniti aggiornano i piani d’attacco
Roma, 9 nov (Velino) - Il Pentagono nei giorni scorsi ha ultimato gli aggiornamenti del piano di attacco all’Iran, se la crisi con la Repubblica sciita dovuta al discusso programma nucleare di Teheran dovesse degenerare. Secondo quanto trapelato dal dipartimento della Difesa, almeno nelle prime fasi della campagna militare, Washington userà prevalentemente le sue forze navali e aeree. Ciò perché da una parte l’esercito e i marines sono stati largamente impiegati in Iraq e Afghanistan e di conseguenza le risorse per quanto riguarda il personale di terra sono ridotte all’osso. Dall’altra perché il metodo più efficace e meno rischioso per neutralizzare gli obiettivi primari identificati dall’intelligence è quello dei raid aerei e degli attacchi missilistici. I “primary target” sono le istallazioni nucleari, come la centrifuga di Natanz; i siti di lancio dei missili balistici, le basi della Guardia rivoluzionaria e tutte le stazioni navali. Per Washington distruggere queste ultime è fondamentale per scongiurare il rischio che Teheran decida di inviare e affondare alcune sue imbarcazioni nello stretto di Hormuz, bloccandolo. L’area è strategica perché è l’arteria vitale del flusso del petrolio nel golfo Persico.
Nell’evenienza (al momento remota) che venga dato il via alle manovre militari, la Marina ha inviato nel Golfo Persico un gruppo di portaerei dotato di 60 aerei e una potenza di fuoco rivolta principalmente ai bombardamenti. Inoltre, un contingente di 2.200 marines si trova a bordo della nave d’assalto anfibio USS Kearsarge, dispiegata nell’area. Alla forza si aggiungono anche tutti i caccia e i bombardieri schierati nei Paesi della regione (Iraq, Arabia Saudita e Qatar), che in poche ore possono raggiungere i loro obiettivi e poi tornare tranquillamente alla base. Per un periodo era stato inviato nelle acque del Golfo anche un secondo gruppo di portaerei, ma recentemente è stato deviato in altre zone, segno che la partita diplomatica tra gli Stati Uniti e l’Iran non si è ancora conclusa definitivamente. Le due parti si continuano a “punzecchiare”, ma il dialogo sotterraneo prosegue. Anche grazie agli sforzi della Svizzera che nella Repubblica sciita rappresenta Washington ormai da anni dopo che, a seguito dell’attacco all’ambasciata statunitense a Teheran del 4 novembre 1979 (nel quale furono rapiti, e rilasciati più di un anno dopo 63 diplomatici americani), gli Usa non hanno più aperto una sede diplomatica nel Paese mediorientale.
La revisione dei piani si è resa necessaria perché gli 007 americani hanno riconsiderato la potenza di fuoco iraniana, inizialmente ritenuta limitata. Molti esperti, a questo proposito, ritengono che la forza della Repubblica sciita non sia nell’attacco ma nella difesa. Teheran, infatti, ha dimostrato più volte di avere una grande capacità di resistenza alle pressioni internazionali ed è considerata in grado di contrastare efficacemente un’invasione. Da qui l’esigenza di escogitare nuove strategie per spiazzare e disorientare l’avversario, in modo da “distrarlo” fino al conseguimento degli obiettivi prefissati. Ma Washington, oltre a un attacco convenzionale, ha preparato dei piani anche nell’eventualità che si decidesse di optare per soluzioni alternative. In particolare, il Pentagono si è concentrato nello studio di fattibilità di azioni clandestine all’interno del territorio iraniano, portate da elementi delle forze speciali, come la Delta force o i Navy Seals. In questo caso gli obiettivi sono stati ridotti e vertono principalmente sul sabotaggio di un piccolo gruppo di istallazioni nucleari, giudicate “chiave”. La scelta finale, comunque, sarà effettuata dal presidente George W. Bush e verrà messa in atto dall’ammiraglio William Fallon, il comandante in capo delle forze armate degli Stati Uniti.
(Francesco Bussoletti)