Intervista di Azar Karimi con il sito Women in the City
10.01.10
STANDING OVATION PER AZAR
di Zenab Ataalla
Parla la giovane studentessa iraniana, figlia di esuli politici nel nostro Paese, che con la sua testimonianza sulla protesta di Theran ha commosso Pier Ferdinando Casini all’ultimo congresso UDC
Incontro Azar alla manifestazione di solidarietà con il popolo iraniano, organizzata davanti all’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran a Roma.
Appena la vedo sono tre le cose che mi colpiscono: la figura minuta, gli occhi profondi color onice, ed il tono di voce con cui mi saluta, che lascia trasparire la sua grinta. D’altronde il suo nome significa “fuoco” in persiano.
Azar ha 23 anni, è nata e cresciuta a Roma, ed è iscritta al terzo anno di Giurisprudenza alla Sapienza. Dell’Iran, il suo paese, sino ad oggi ha potuto ascoltare solo i racconti dei suoi genitori: 30 anni fa, dopo la Rivoluzione e la grande repressione di Khomeini contro i dissidenti interni, il padre e la madre, allora giovani studenti universitari anch’essi, costretti a fuggire, sono giunti in Italia come rifugiati politici.
Attivisti per i diritti di democrazia e libertà, i genitori , hanno continuato la loro attività politica anche qui: una costante che ha fatto da sfondo alla vita di Azar. Da bambina segue i genitori alle manifestazioni contro il regime degli Ayatollah che gli attivisti promuovono in tutta Europa, a 14 anni è in piazza con un gruppetto di ragazzi figli di esuli politici come lei. Nel 2006 ottiene la licenza liceale, si iscrive a Giurisprudenza, e fonda l’associazione Giovani Iraniani in Italia.
La protesta scoppiata in Iran a giugno, dopo la contestata rielezione di Mamhud Ahmadinejed alla presidenza del Paese, con migliaia di persone in piazza, donne e uomini, giovani ed anziani, non ha sorpreso Azar. Mi spiega: “La repressione dura da 30 anni, la gente non ne può più. E dopo le ultime elezioni, ha detto basta. Le ragazze di Tehran, di Mashad, e di altri centri con cui sono in contatto, mi ripetono tutte la stessa cosa: continueremo a manifestare finchè otterremo diritti e democrazia, la repressione non ci fermerà.”.
A metà dello scorso dicembre, Azar Karimi, con il suo intervento a difesa del diritto alla protesta degli iraniani contro il regime teocratico, ha appassionato la platea dei delegati del congresso dell’UDC. Stretta tra Lorenzo Cesa e Pierferdinando Casini, che l’ha abbracciata a lungo assicurandole il sostegno della sua formazione politica, mentre il congresso tributava alla giovane una vera e propria standing ovation.
Women in the city. Azar, sei iraniana nata in Italia, come hai vissuto la tua infanzia?
Azar Karimi. Ho vissuto relativamente bene, da cittadina italiana, come una persona normale. Integrata bene e con tanti amici. Ma ho sempre sentito di avere qualcosa di meno rispetto ai miei coetanei.
Io non potevo e ancora non posso andare nel mio Paese, tornare a casa, visitare la città dei miei genitori, la nostra famiglia, i miei nonni. Questo, perché i miei genitori sono esuli politici, dissidenti del regime dei mullah, tornare in Iran per loro significa la prigione e la morte.
Quando ero piccola, questo non potere tornare in Iran mi poneva sempre tante domande, e non riuscivo a comprendere veramente la ragione. Crescendo, ho capito: lo status di rifugiati politici dei miei genitori si è trasmesso automaticamente anche a me, quando sono nata.
Quindi, nonostante io abbia la cittadinanza italiana dall’età di 18 anni, andare in Iran mi è praticamente vietato: potrei essere arrestata, non ho la certezza del ritorno. Lì i miei genitori sono conosciuti, ed è conosciuta la loro attività politica.
Witc. Quale è il sentimento che più di tutti segna una ragazza come te, figlia di perseguitati politici? La paura? Anche qui, in Italia?
A.K. Paura per me, certamente no, perché vivo in un Paese democratico, dove c’è libertà, quella che tanti miei coetanei iraniani sognano di ottenere. Paura per la mia famiglia, in Iran, insieme al rimpianto di non poterli vedere, si.
ero più piccola, la paura più grande la provavo per i miei nonni. Sentivo le loro voci e i racconti al telefono: vivevano sotto la pressione delle milizie, non potevano lasciare insieme il Paese per venirci a trovare, solo uno per volta. I periodi consentiti erano sempre più brevi, e quando il nonno o la nonna decidevano di venirci a trovare, cominciavano a ricevere minacce telefoniche.
Una volta al mese mia nonna veniva portata in commissariato per essere interrogata, ed una volta è stata incarcerata con mia zia per un mese intero. I carcerieri le raccontavano che mia madre era stata uccisa, oppure che sarebbe stata assassinata se lei non fosse riuscita a convincerla a smettere la sua attività politica contro il regime. A mia madre venivano inviate le stesse minacce: se non avesse smesso, i suoi genitori, tutta la famiglia, sarebbero stati giustiziati. Naturalmente sia noi che i nostri parenti in Iran sapevamo che nulla di quello che diceva il regime era vero, ma la paura rimaneva.
Witc. Quale il tuo punto di vista sull’attuale situazione in Iran?
A.K. Penso che in Iran siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Adesso la gente che manifesta sa quello che vuole: il rovesciamento del regime e di tutti gli apparati che gli ruotano intorno. L’obiettivo sono democrazia e elezioni libere.
Da quando sono iniziate le manifestazioni di piazza, io e i miei amici proviamo una grande preoccupazione per quanto avviene laggiù, per la repressione, per il sangue versato, ma nello stesso tempo siamo elettrizzati perché qualcosa sta cambiando.
Witc. A cosa pensi quando dici “cambiamento”?
A.K. Cambiamento per me è la volontà della gente, nel senso che oggi gli ayatollah non possono più nascondere che c’è una forte opposizione popolare alla loro politica. La gente vuole apertamente la caduta del regime teocratico e l’instaurazione della democrazia.
Pochi giorni fa ho visto un breve video nel quale si vedono manifestanti che prendono d’assalto un gruppo di poliziotti, riuscendo a metterli in un angolo. Si vedeva chiaramente che i poliziotti avevano paura: la gente gli tirava i sassi addosso, mentre loro scappavano pur essendo armati.
Fino a qualche mese fa queste cose non si vedevano. Come non si vedevano bruciare le foto di Khomeini per strada, o gridare slogan come “morte al dittatore”. Adesso è ben chiaro che quando si sente gridare “morte al dittatore” significa dire morte a lui, al suo governo ed al suo regime.
Witc. Gli analisti occidentali dicono che la protesta ha messo in luce nel paese una spaccatura sociale, a protestare sarebbe l’elite intellettuale e benestante. Quale è il tuo punto di vista?
A.K. Sono convinta che non sia così: la protesta è trasversale, e coinvolge giovani e anziani, donne e uomini, tutti gli strati sociali. Un nipote di Moussavi è stato ucciso, il figlio di un membro del regime è stato torturato, seviziato e poi ammazzato in carcere.
È una pretesta generale, ciascuno ha vinto la propria paura ed è sceso in piazza. Il malcontento che serpeggiava da trentanni è esploso.
In prima fila ci sono migliaia di donne. Perché sorprendersi? L’Iran è un paese giovane, le ragazze vanno a scuola da cento anni, vanno all’università, lavorano. Il regime misogino le ha sempre trattate in un modo animalesco, brusco. Imponendo una condizione di sottomissione, di inferiorità legale; le donne iraniane sono represse, sorvegliate nell’abbigliamento, separate dagli uomini nello spazio pubblico.
Vivere una condizione di questo genere è impensabile, la donna non è una proprietà. Penso che il regime abbia sempre temuto la nostra potenza, perché in un modo o nell’altro le iraniane gli hanno sempre dato filo da torcere, e per questo Neda, la studentessa uccisa nel corso delle manifestazioni, è diventata il simbolo di tutta la protesta iraniana.
Dall’altra parte, nella provincia iraniana o nei quartieri cittadini degradati si sono anche molti analfabeti, molti disoccupati e molti drogati. Se metti una persona nella condizione di restare analfabeta, di avere la droga e di non avere un lavoro, sei sicuro che difficilmente riuscirà a ribellarsi.
Witc. La tua associazione conta più di 50 soci fondatori, che rapporti riuscite ad avere con gli studenti della protesta che vivono in Iran?
A.K. Avere rapporti è difficile, le possibilità di comunicare sono sempre più problematiche perché il regime ha censurato tutte le reti e ha bloccato le schedi telefoniche. C’è chi usa i cellulari e fa video istantanei o foto che poi passano di mano in mano.
Di certo, posso dire che i giovani iraniani non si fermano per la censura del regime, anche loro sanno come muoversi.
Witc. In questi giorni è circolata il video di un ragazzo che si era velato come le donne per protesta...
A.K. La storia non è proprio così; questo ragazzo è stato arrestato durante una manifestazione e portato in carcere. Lì, per umiliarlo, gli hanno fatto indossare un velo da donna in testa, e poi è stato fotografato. Le foto sono state fatte circolare nel Paese, ma l’effetto è stato contrario a quanto sperava il regime. I giovani che hanno visto le immagini hanno deciso di manifestare la propria solidarietà al compagno, tutti hanno indossato veli da donna, e si sono fatti fotografare. Le cosa è continuata per giorni, e le foto circolano ancora.
Quello che voglio dire è che i giovani, le donne, trasformano ogni evento grande o piccolo in un pretesto per scendere in piazza, così è stato per le elezioni di giugno, per la festa dell’Ashura, per la morte dell’ayatollah Monteseri…
I miei coetanei chiedono libertà di scelta, non è possibile vivere in un posto dove ti possono frustare pubblicamente perché ti piace il rock.
Witc. Tra i giovani si parla del “dopo Ahmadinejead”? Che tipo di governo pensano possibile? Quale il ruolo dell’Occidente?
A.K. Ciascuno ha la sua idea, il denominatore comune per tutti sono elezioni libere, con partiti politici plurali. Chiediamo solo che la gente sia libera di scegliere e votare chi vuole. Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza iraniana in esilio, sostiene la prospettiva di un cambiamento per mano del popolo iraniano e della sua resistenza, l’aiuto dei governi occidentali serve per garantire un passaggio non violento.
Ma sono convinta che in ogni caso la gente ha già scelto di fare cadere questo regime, e come ci insegna la storia iraniana ci riuscirà.
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Witc. Il 19 dicembre scorso sei intervenuta al congresso dell’UDC, ed hai parlato della situazione iraniana. Il segretario Casini ti ha abbracciata, il congresso ti ha applaudita a lungo. Quali i punti forti del tuo appello?
A.K. Ho parlato per circa 4 minuti, ho chiesto solidarietà per i diritti del popolo iraniano, e per la nostra causa. C’erano più di mille persone. Ero molto emozionata, la strizza mi venuta appena mi hanno comunicato che sarei intervenuta prima del presidente Casini. Ho pensato subito: “ecco se devo fare una figuraccia, la farò per bene”. Il congresso ha accolto benissimo il mio intervento, molti poi mi hanno detto di essere rimasti colpiti dal fatto che un volta tanto non si era parlato in politichese, ma concretamente e con il cuore. Sono stata molto applaudita, e il presidente Casini mi ha preso per mano. Eravamo tutti emozionati.
Witc. Cosa dovrebbe fare a tuo avviso il Governo italiano di fronte alla protesta iraniana?
A.K. Dopo le elezioni del 12 giugno, l’Italia è stato l’unico Paese che ha lasciato aperte le porte della sua ambasciata per tre giorni, permettendo a 80 persone di ottenere il visto.
Poi, mettendo da parte i diversi impegni istituzionali, poco di pratico è stato fatto. Ronchi, il ministro delle Politiche Europee, ha espresso più volte la sua solidarietà al popolo iraniano, chiedendo la cessazione della repressione, e l’adozione di una mozione al Parlamento europeo.
Aldilà di altre generiche attestazioni di solidarietà, di concreto non è stato fatto nulla, e chi dovrebbe parlare in questo momento, tace.
Witc. Come vedi l’informazione dei media italiani sulla situazione in Iran?
A.K. L’informazione è episodica, non viene mai approfondito il contesto, il reale bilancio dei morti, degli arrestati, il fatto che regime ha dichiarato di voler giustiziare le persone fermate durante le manifestazioni degli ultimi giorni. Bisognerebbe fare giornalismo investigativo, inchieste sul numero vero dei morti: quanti sono veramente i manifestanti morti o arrestati, su 6 milioni di persone in piazza? Il numero è altissimo, per non parlare dei dispersi.
Lo dicono le organizzazioni non governative, come Amnesty International che si sta impegnando moltissimo. E ce lo dicono i giovani attraverso Twitter. Ma se ascolti il nostro telegiornale, il bilancio è sempre bassissimo. Anche se importante che comunque se ne parli.
Witc. Cosa ti aspetti dal futuro?
A.K. Spero il prossimo anno di poter festeggiare in Iran il capodanno e di stare insieme ai miei parenti.