UN INTERESSANTE ARTICOLO-ANALISI SULL'ATTACCO DELLE FORZE IRACHENE AL CAMPO DI ASHRAF
Iran: Martirio ad Ashraf
di Esmail Mohades
Il 28 luglio alle 15, ora locale, migliaia di uomini vestiti con la divisa delle forze irachene hanno sferrato un attacco ingiustificato al Campo di Ashraf, dove risiedono circa 3500 membri dei Mojahedin del popolo iraniano. I residenti di Ashraf, “persone protette” dalla IV Convenzione di Ginevra, mettevano in atto una difesa con i loro corpi e a mani nude. Ore 16 1e forze irachene a manganellate spazzavano via i resistenti e con i loro bulldozer spianavano la recinzione del campo e tutto quello che s’opponeva alla loro avanzata. Chi non guidava i bulldozer e non era occupato a brandire i manganelli colpiva gli inermi con pietre; nel frattempo si preparavano a impugnare le armi da fuoco.
Ore 16:15 gli aggressori aprivano, oltre al lato occidentale, nuovi fronti da Est e da Nord del Campo per piegare la volontà dei Mojahedin del popolo che difendevano con la vita il loro Campo e la loro dignità. Ore 16:30 gli attacchi continuavano e, sotto la temperatura di 57 °C, colpivano gli inermi con getti di acqua bollente e gas al peperoncino. Il numero dei feriti e dei feriti gravi aumentava e gli aggressori come cani arrabbiati inferivano sui corpi dei feriti, e li portavano in luoghi ignoti ammanettati. Le forze statunitensi presenti filmavano quanto accadeva. Ore 16:50 i militari con la divisa irachena cominciavano a sparare. Il numero dei feriti cresceva, alcuni in modo molto grave. Ore 17 in punto i blindati penetravano nel Campo e gli attacchi s’intensificavano, e il numero dei feriti saliva. Gli inermi Mojahedin del popolo urlavano “Morte a Khamenei! A Teheran ad Ashraf!”. L’ordine dell’attacco, impartito dal primo ministro iracheno al-Maliki, era stato imposto da Khamenei che anche nell’incontro con il presidente della Repubblica iracheno, il 28 febbraio, aveva chiaramente preteso la cancellazione del Campo di Ashraf.
Ore 17:15 i mezzi degli iracheni scorazzavano nelle vie di Ashraf, e squarciavano gli pneumatici delle auto che trasportavano i feriti agli ambulatori del Campo. I militari picchiavano selvaggiamente ogni persona che incontravano. Sei blindati proseguivano verso le centrali di distribuzione dell’acqua e dell’elettricità per distruggerle. Tre blindati si muovevano diretti verso la piazza Laleh, all’interno del Campo, e i militari picchiavano e sparavano all’impazzata. Ore 17:30 il numero dei feriti gravi è di 49 persone e uno, Siavosh, è in coma. Le prime immagini dell’assurdo attacco contro il Campo di Ashraf insieme a 134 nomi di feriti venivano consegnate nel pomeriggio ad Amnesty International a Londra che in un comunicato esprimeva forti preoccupazioni per ciò che accadeva ad Ashraf.
Ore 19:30 muore Farzin Zamani, e Peyman entra in coma. Ore 20 muoiono Mehrdad Niksiar, Mohammad Reza Bakhiari e Mehrdad Rezazadeh.
La mattina del 30 luglio alle 8, ora locale, il numero dei militari in divisa irachena presenti nel Campo di Ashraf era di 2200 unità; 1200 della polizia, 700 dell’esercito e 300 delle forze speciali del premier Nuori al-Maleki. Molti militari in divisa irachena parlavano in farsi; essi appartenevano alla divisione 9 di Badr, del corpo dei pasdaran. Notizie riferiscono che la Forza Qods del Corpo dei pasdaran del regime iraniano ha avuto un ruolo determinante in questo attacco. Il numero dei caduti dei Mojahedin del popolo era di 12 morti, 450 i feriti e 36 gli scomparsi. I giornalisti e le loro troupe non ottenevano ancora il permesso di entrare nel Campo.
Chi conosce lo stile repressivo del regime dei mullà al potere in Iran non ha dubbi che il feroce attacco ad Ashraf ha la stessa mano. Le più alte autorità del regime iraniano non hanno mai celato il loro desiderio di eliminare il Campo di Ashraf, considerato una spina nel fianco. Il presidente del parlamento ( majlès ) dei mullà, Larijani, s’è subito detto soddisfatto dell’accaduto e ha ringraziato il governo iracheno per l’attacco, avvenuto “troppo tardi”. Il regime dei mullà è solito esportare le proprie crisi fuori dai confini, questa volta attanagliato dalla rivolta degli iraniani in Iran pretende e ottiene una feroce aggressione al Campo di Ashraf, ai membri dei Mojahedin del popolo, la sua principale opposizione. L’inaudita crudeltà consumata dagli uomini in divisa irachena era tale e quale a quella usata nelle strade di Teheran e altre città iraniane. Dal gennaio di quest’anno da quando gli iracheni avevano assunto il controllo del Campo di Ashraf, molti avevano avanzato dubbi sulla volontà e sulla capacità del governo filo iraniano di al-Maleki di onorare gli impegni sulla sicurezza di Ashraf. I fatti del 28 luglio hanno confermato le preoccupazioni.
Molti anni di politica dell’Occidente, di sporca compromissione con il regime criminale al potere in Iran e di completa omissione dei diritti umani, hanno fatto sì che il regime, a man bassa, sterminasse i dissidenti iraniani in Iran e fuori. Elemosinando un dialogo sul nucleare, i governi occidentali hanno perso credibilità anche agli occhi dello stesso regime. La conseguenza di una simile inopia dell’Occidente, deve essere pagata ancora una volta dal popolo iraniano, a Teheran e ad Ashraf. Lo slogan “morte al dittatore” udito a Teheran e ad Ashraf dichiara l’inizio della fine del regime dei mullà in Iran.
In ogni caso anche l’Amministrazione degli Stati Uniti d’America è responsabile dell’accaduto, avendo siglato un accordo, nel luglio del 2004, che la impegnava a tutelare i residenti di Ashraf riconosciuti “persone protette” dalla IV Convezione di Ginevra. L’orrendo spettacolo dell’attacco ai Mojahedin del popolo nel Campo di Ashraf non ha avuto uno spazio nei telegiornali, mentre sulla rete* giravano le immagini dell’aggressione, e su questo c’è molto da riflettere