sabato 6 dicembre 2008

Viaggio a Ashraf, tra i resistenti in fuga dall'Iran


Nella foto: l'ingresso del campo di Ashraf situato a 150 km da Baghdad dove risiedono 3500 membri della resistenza iraniana

nella foto: alcune donne, membri della resistenza iraniana che risieono nel cambo di Ashraf

Viaggio a Ashraf, tra i resistenti in fuga dall'Iran

• da Il Riformista del 5 dicembre 2008, pag. 14
di Marco Perduca

Ashraf è un ex campo profughi nella provincia irachena nord orientale di Diyala, a un’ottantina di chilometri dal confine con l’Iran. Oggi ospita circa 3.500 resistenti iraniani in fuga dal regime dei Mullah. Dopo aver partecipato alla rivoluzione contro lo Scià, i mojahedin del popolo avevano preso le armi anche contro Komeini e, per questo, sono stati bersaglio di persecuzioni, arresti sommari, torture ed esecuzioni giudiziarie ed extragiudiziarie. Si stimano in oltre centoventimila le vittime del regime e il museo della resistenza del campo di Ashraf ne dà una sia pur parziale testimonianza.

Ho visitato il campo dal 19 al 23 novembre scorso, insieme ad Antonio Stango del Partito Radicale Nonviolento, Yulia Vassilieva di “Nessuno Tocchi Caino” e Giancarlo Boselli, vice sindaco di Cuneo che ha dichiarato Ashraf città sorella nella resistenza. Motivo della visita dare seguito alla dichiarazione sottoscritta nel settembre scorso da oltre 460 parlamentari italiani di tutti i gruppi che, oltre a chiedere la cancellazione dell’organizzazione dei mojahedin del popolo iraniano dalla lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea, esprime preoccupazione circa la sicurezza dei residenti di Ashraf.

La visita, non ufficiale, era stata sconsigliata dalla Farnesina per motivi di sicurezza, anche perché dal giugno scorso esiste, mai smentita, una dichiarazione pubblica del portavoce di Al Maliki, in cui si annuncia che presto il governo iracheno, di concerto con la Croce Rossa internazionale, avrebbe espulso i mojahedin e perseguito in base alla legge anti-terrorismo chiunque venga sorpreso a portar avanti attività assieme a loro. Nel frattempo si è tentato di fare terra bruciata intorno ad Ashraf. I mojahedin sono al centro di una serie di attacchi, tanto fisici quanto mediatici, portati avanti dalle fazioni sciite che compongono la coalizione che sostiene l’attuale governo iracheno. Nell’ultimo anno, un paio di mojahedin che avevano lasciato il campo per approvvigionamenti sono stati uccisi mentre sono una ventina gli iracheni solidali coi residenti ad Ashraf che sono stati ammazzati in circostanze misteriose.

Nelle settimane scorse, la questione di Ashraf è più volte entrata come nota dolente nei negoziati tra il Governo iracheno e l’Amministrazione Bush sul ritiro progressivo delle truppe USA dal paese. I mojahedin non sono stati coinvolti nel processo negoziale ed è più che probabile che, una volta che le truppe americane dovessero smobilitare, la sicurezza dei residenti di Ashraf non potrebbe essere garantita da un esercito iracheno agli ordini del governo di Baghdad sempre più alla mercede del regime di Teheran.

Dopo la prima guerra del Golfo nel 1991, i mojahedin hanno riorganizzato la propria vita ad Ashraf, facendo evacuare i bambini e di fatto proibendo qualsiasi tipo di vita famigliare all’interno del campo perché possibile impedimento a emergenze dovute all’irrompere di attacchi contro di loro. Da allora, infatti, i 36 chilometri quadrati di Ashraf sono divisi in varie unità dove volontari uomini e donne vivono separatamente su un modello socio-economico molto simile ai kibbutz israeliani degli anni Sessanta dove non esiste proprietà privata e danaro, la vita è organizzata intorno al lavoro nelle officine, nei campi, nelle scuole e nell’addestramento alle varie necessità della resistenza.

Nella seconda guerra del Golfo, gli americani hanno bombardato Ashraf provocando 50 vittime e, nell’estate del 2003, i mojahedin hanno consegnato ai generali USA un armamentario di quasi tremila pezzi, tra carri armati, contraeree, armi di vario tipo nonché quintali di munizioni. Da quel giorno ad Ashraf non esiste più un’arma e gli americani considerano i mojahedin come rifugiati il cui status è regolato dalla quarta convenzione di Ginevra. La sicurezza dei residenti di Ashraf è garantita da un battaglione di 500 fanti americani nel lato settentrionale della città, Camp Grizzly, oggi sotto il controllo del generale Ray Odierno. Inoltre gli americani hanno imposto una zona di protezione dove per un raggio di cinque chilometri non è consentita la presenza, ma solo il transito, a truppe irachene. Vista la vicinanza col confine iraniano, il comando statunitense ha anche costruito una base aerea.

Ashraf sarebbe una città totalmente autosufficiente se non fosse per l’acqua e la benzina per cui dipende dall’esterno. Nei giorni di nostra presenza, abbiamo visitato unità manifatturiere, agrarie, scolastiche, nonché l’ospedale che serve i mojahedin ma anche gli iracheni che vivono nei dintorni. Dal 2003 molta della strumentazione meccanica a scopo bellico è stata convertita per fabbricare caravan o pannelli per l’assemblaggio, che avviene sempre in loco, di immobili prefabbricati a varia destinazione d’uso. Poiché i residenti non hanno il permesso di lasciare il campo, i rapporti cogli iracheni vengono tenuti da intermediari arabi che, in cambio, possono anche usufruire delle strutture ospedaliere del campo e della disponibilità di farmaci generici messi a loro disposizione gratuitamente. Anche per questo, all’inizio dell’anno, sono state raccolte oltre cinque milioni di firme di cittadini iracheni in calce a una dichiarazione di benvenuto e solidarietà nei confronti dei mojahedin che è scolpita in un monumento all’ingresso del campo.

Gli sceicchi, capi tribù e responsabili di organizzazioni dei diritti delle donne che abbiamo incontrato durante la nostra visita, hanno tutti manifestato grandi preoccupazioni per le sorti dei residenti ad Ashraf se e quando gli americani lasceranno il campo, ma anche per il proprio futuro visto il ruolo che il campo svolge soprattutto dal punto di vista sociale. La simpatia coi mujiaidin è particolarmente forte tra i sunniti e tutti coloro che ritengono sempre più pervasiva l’influenza, se non la presenza, degli iraniani in Iraq. Le denunce raccolte in occasione dell’incontro cogli iracheni indicano gli iraniani intenti a fomentare le divisioni religiose per provocare instabilità, da gestire poi col pugno di ferro e di concerto con Teheran.

Per una ventina di anni i mojahedin hanno partecipato a incursioni militari prima a fianco dell’esercito iracheno durante la sanguinosa guerra che ha contrapposto Iran e Iraq per tutti gli anni Ottanta, e successivamente contro i pasdaran su suolo iraniano. Dopo un progressivo cambio di strategia, da almeno cinque anni non si registrano attacchi armati in Iran da parte dei mojahedin, che sotto la guida della leader della resistenza Maryam Rajavi hanno scelto la via politica della opposizione al regime. Per questo, tramite la loro diaspora in Europa, oggi sono principalmente impegnati nella richiesta di cancellazione del loro gruppo dalla lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione Europea, un’iscrizione che paradossalmente non indica nomi di responsabili contro cui si possano eseguire le sanzioni previste da tale decisione, e contro la quale si sono già pronunciate un tribunale britannico e la stessa Corte di Giustizia delle Comunità europee, la quale proprio ieri ha annullato per la terza volta una decisione del Consiglio Europeo basata questa volta su una richiesta del governo francese. L’ostinazione europea a voler mantenere i mojahedin nella lista dei terroristi si può spiegare solo con un’Europa succube del ricatto energetico del regime iraniano.

La cancellazione dalla lista nera europea e la sicurezza dei residenti ad Ashraf vanno di pari passo proprio perché la prima incide strutturalmente sulla seconda. Su questo nodo politico, anche l’Italia dovrà prendere posizione. La settimana prossima, la Commissione Esteri della Camera dei Deputati discuterà e voterà su una risoluzione presentata da rappresentanti di tutti i gruppi politici che indirizza il governo a sostenere in sede europea le istanze umanitarie dei residenti ad Ashraf come previste dalla Convenzione di Ginevra e il rispetto della sentenza della Corte di Giustizia europea che dichiara illegittima e infondata la iscrizione dei mojahedin del popolo iraniano nella lista del terrorismo. Sarà il banco di prova, non solo simbolico, della coerenza e del rigore con cui il nostro paese intende difendere i diritti umani, affermare la legalità europea e affrontare la minaccia alla pace e alla sicurezza mondiale rappresentata oggi dal regime iraniano.

 
AID : AGENZIA IRAN DEMOCRATICO