giovedì 9 settembre 2010

Continua la mobilitazione internazionale per la liberazione di Sakineh Ashtiani rinchiusa nel braccio della morte dal 2006


Nella foto: la manifestazione di oggi davanti alla regione Lazio
INTERVISTA CON IL FIGLIO DI SAKINEH venerdì 3 settembre 2010 alle ore 11.42
«Hanno torturato mia madre SakinehOra l'Europa non dia tregua all'Iran» Intervista al figlio della donna condannata alla lapidazione per adulterio
Caro Sajjad, mi emoziona molto parlarle. Armin Arefi, di La Règle du Jeu, è qui con me e tradurrà la nostra conversazione. Innanzitutto, dove si trova lei, in questo momento?«A Tabriz, la città in cui mia madre è detenuta. Sono per la strada. E la chiamo da un cellulare».Pensa che potremo parlare tranquillamente?«Credo di sì. Cambio spessissimo numero di telefono per sfuggire agli ascolti telefonici. Tentiamo».Come sono le autorità nei suoi confronti? Subisce pressioni? Tentativi di intimidazione?«Sì, certo. Ho ricevuto due chiamate dai servizi segreti. In realtà, due convocazioni. Ma ho rifiutato di andarci. Per ora, non sono stato arrestato».Non sappiamo niente di lei, caro Sajjad. Chi è? Cosa fa?«Ho 22 anni. Sono il figlio maggiore di Sakineh. Lavoro dalle 6 del mattino alle 11 di sera come controllore sugli autobus della città. Per il resto... Tutti i miei pensieri, tutta la mia volontà tendono a un solo scopo: salvare mia madre».A che punto siamo? Come vede oggi le cose?«Ho attraversato momenti di disperazione. Ho scritto alle autorità. Spesso. Mi hanno risposto con un silenzio totale. Da qualche giorno, con la mobilitazione che lei ha lanciato, ritrovo un po' di speranza».Sua mamma, nella sua cella, sa di questa ondata mondiale di solidarietà e amicizia?«Sì. È stata informata nelle rare visite cui ha avuto diritto. Ne è stata felice. E l'ha ringraziata».Perché parla al passato? A quando risale la sua ultima visita?«A poco prima della sua cosiddetta "confessione" televisiva. Fino ad allora, la vedevamo una volta alla settimana, tutti i giovedì. Dopo, niente. Né mia sorella né io. Né gli avvocati. Ancora stamattina, visto che è giovedì, mi sono recato alla prigione. Ma il guardiano mi ha detto: "Alla signora Mohammadi Ashtiani è vietato qualsiasi contatto per decisione del potere"».Cosa ci può dire delle condizioni di carcerazione di sua madre?«Sono durissime. Subisce incessanti interrogatori da parte dei Servizi iraniani. Le chiedono, per esempio, come mai il suo ritratto è affisso dappertutto nel mondo e chi, secondo lei, ha lanciato questa mobilitazione internazionale».Qual è il suo stato psicologico?«Prende molti farmaci. Antidepressivi. E prega».Si trova in una cella individuale o con altre donne?«Tutte le donne condannate della città di Tabriz sono nello stesso quartiere della prigione. Sono piccole celle con talvolta quindici o venti donne accalcate. Ma è possibile che, dopo la sua apparizione alla televisione, l'abbiano messa in una cella individuale. Le ripeto: non so più nulla, non ho più alcuna notizia».La sua apparizione in tv qui ha fatto molta impressione. Intanto, era veramente lei?«Sì, certo, era lei. Ma...».Ma?«Ma prima è stata torturata. È Houtan Kian, l'avvocato, che l'ha saputo dalle sue compagne di detenzione. Le autorità avevano bisogno di queste confessioni per poter riaprire il dossier dell'omicidio di mio padre».Le autorità affermano che il dossier non è mai stato veramente chiuso.«È falso. Affermano questo per poterla uccidere più facilmente. Del resto, il dossier è stato, guarda caso, smarrito».Cosa vuole dire?«L'altro ieri, mentre andavo in Tribunale per averne una copia, mi è stato detto che non l'avevano più. Mi hanno chiesto di andare al piano terra ma, anche lì, non è stato trovato. Ne ho parlato con l'avvocato Houtan Kian che ha fatto le sue ricerche e mi ha detto che il dossier non si trovava neanche a Osku, città di provincia di cui i miei genitori sono originari. Tutto questo è inquietante. Potrebbe trattarsi di un piano della Repubblica islamica per modificare il dossier e aggiungervi elementi a carico che giustifichino l'esecuzione».Per il secondo caso. Non quello dell'adulterio, ma dell'omicidio...«Appunto. Tanto più che una settimana prima della perdita del dossier, il domicilio di Houtan Kian è stato messo a soqquadro e il suo computer portatile come anche la valigetta in cui si trovava il riassunto del dossier sono stati rubati. Ancora ieri, mercoledì, i Servizi hanno di nuovo invaso il suo domicilio e portato via un estratto del dossier dell'omicidio di mio padre, l'ultimo che era in nostro possesso. È lo stesso Houtan Kian che mi ha appena informato per sms».Mi consenta una domanda più diretta. Lei è, dopotutto, il figlio dell'uno (suo padre, assassinato) e dell'altra (sua madre, accusata di complicità in questo assassinio). Nel suo intimo, è sicuro che l'accusa sia infondata?«Nel mio intimo, sì. Mille volte sì. È una pura menzogna. Insieme a un'incredibile ingiustizia. Mia madre, che non ha fatto niente, niente, rischia la lapidazione. Intanto, il vero omicida, Taheri, è libero...».Perché lei lo ha perdonato.«Sì. È il padre di una bambina di tre anni, ha pianto molto davanti a noi. Mia sorella ed io non abbiamo voluto essere la causa della sua esecuzione».Torniamo alla campagna di mobilitazione. Pensa che possa far cedere le autorità?«Non so. Comunque, abbiamo solo voi. Non abbiamo nessuno, a parte voi, che ci tenga la mano. Ora, per esempio, so che l'avvocato Houtan Kian ha scritto una lettera alle autorità per chiedere un dibattito con un responsabile qualsiasi. Se ci sarà una risposta, sarà grazie a voi».Quindi lei non è d'accordo con chi dice che questa campagna irrita le autorità e possa essere controproducente?«Certo che no. È vero che l'Iran è irritato. Ma bisogna pure che l'Iran ascolti la nostra pena. Le autorità iraniane non hanno risposto a nessuna delle nostre lettere. Se la nostra voce ha una possibilità d'essere ascoltata, sarà, lo ripeto, grazie a voi».Cosa possiamo fare di più?«Bisogna raddoppiare le pressioni sulla Repubblica islamica».Sì, ma come?«Rivolgendovi, per esempio, al Brasile e alla Turchia che hanno legami privilegiati con la Repubblica islamica».È al corrente della dichiarazione del presidente della Repubblica francese in cui dice che sua madre è sotto la responsabilità della Francia?«Certo. È straordinario. Ma bisogna continuare. Altrimenti, se voi allentate la pressione, mia madre sarà uccisa».Le autorità iraniane hanno tuttavia sospeso l'esecuzione della sentenza.«Sospeso non vuol dire annullato».Dunque, mentre noi parliamo, tutto è possibile, tutto è da temere?«Sì. Da un lato, ci sono persone che non vogliono in alcun caso perdere la faccia e intendono lapidare mia madre. E dall'altro, persone come il signor Nobkaht, il vice del potere giudiziario nella regione di Tabriz, il quale vuole che il signor Imani, il giudice che ha pronunciato la sentenza, sia tratto d'impaccio e che, per questo, ha chiesto a Teheran il cambiamento della pena di lapidazione in impiccagione. Ma questo è forse meglio?».No, certo.«Vi prego, non mollate. Siete voi, ancora una volta, che tenete le nostre mani. Se voi non ci foste, mia madre sarebbe già morta».(traduzione di Daniela Maggioni)
Bernard-Henri Lévy 03 settembre 2010

 
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